Papa Francesco ha guidato i Cattolici dal 13 marzo 2013 al 21 aprile 2025 ad affrontare due sfide esistenziali per la Chiesa cattolica: la globalizzazione come fenomeno socio-economico, culturale e politico e la scristianizzazione dell’Europa.

È nelle tempeste della globalizzazione che Papa Francesco, venuto “dalla fine del mondo”, ha cercato di tenere a galla la “navicula Petri”.

Nel 1993 lo studioso americano Samuel P. Huntington aveva fatto implacabili constatazioni e aspre profezie su “Foreign Affairs”. Si stava mettendo in movimento un processo di “de-occidentalizzazione”, che la crescita demografica, lo sviluppo economico e la modernizzazione tecnologica avrebbero accelerato.

La Chiesa nella globalizzazione e l’apostasia europea

Ma la globalizzazione tecnologica e commerciale, a guida occidentale, ben lungi dall’indurre un’analoga occidentalizzazione dei valori, avrebbe finito per “alterare gli equilibri di potere tra l’Occidente e le società non occidentali” e per alimentare “il potere e l’autostima di quelle società” e rafforzare in esse “il senso di appartenenza alla propria cultura”.

La Cina non era ancora entrata nel WTO, ma stava sorgendo all’orizzonte. La prima conseguenza geopolitica sarebbe stata che l’ONU avrebbe cessato di essere lo strumento di costruzione di una civiltà universale, fondata sui diritti umani e sulla democrazia, e sarebbe diventata soltanto la sigla di una pluralità di culture e di Stati-nazione in competizione.

Con trent’anni di anticipo, veniva annunciato il disordine mondiale del 2025, cui si è trovata immersa la Chiesa di Bergoglio.

Con questo dramma globale se n’è intrecciato uno più specificamente cattolico-europeo: l’Europa, già cristiana, si sta congedando dal Cristianesimo. Le chiese sono sempre più vuote, i seminari chiudono i battenti, nei confessionali non si raccontano più i “peccati”.

Certo, si segnalano micro-controtendenze, dalla Francia alla Svezia. Ma, almeno per ora, constata il filosofo Pierre Manent: “Gli Europei non sanno cosa pensare né che fare del Cristianesimo”.

Il Cristianesimo e, quindi, la Chiesa non sono più considerati dalla maggioranza delle persone, in Italia e in Europa, come strumenti per capire il mondo e per vivere nel mondo. Gli Europei se ne stanno tranquillamente liberando, nell’illusione che i valori cristiano-liberali continueranno a fluire nelle loro società, anche se la sorgente originaria si sta riducendo ad un rigagnolo.

Consapevole della sfida, nella XXXVII Giornata mondiale della Gioventù – a Lisbona dall’1 al 6 agosto 2023 – aveva parlato della “stanchezza” quale “sentimento piuttosto diffuso nei Paesi di antica tradizione cristiana, attraversati da molti cambiamenti sociali e culturali e sempre più segnati dal secolarismo, dall’indifferenza nei confronti di Dio, da un crescente distacco dalla pratica della fede”.

La de-ellenizzazione del Cristianesimo

D’altronde, il dramma dell’apostasia europea era stato al centro dell’impegno teologico del predecessore di Bergoglio, papa Benedetto XVI. Il 12 settembre 2006 nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg aveva descritto le tre ondate della “de-ellenizzazione” del Cristianesimo. La prima era quella della Riforma protestante, che intendeva liberare la fede dalla metafisica greca, affermando il principio esclusivo della “Sola Scriptura”.

La seconda, era la teologia liberale di Adolf von Harnack, che, muovendo in senso opposto a quello di Lutero, intendeva togliere a Gesù la veste semitica della “Sola Scriptura” per fagli  indossare quella socratica del filosofo morale.

La terza, particolarmente denunciata da Ratzinger, era ed è cultura ecumenico-globalista, per la quale il messaggio del Nuovo Testamento deve essere “es-culturato” dall’ellenismo e “in-culturato” nelle varie culture mondiali. Quest’ultima è stata la via perseguita proprio da Papa Bergoglio.

Teologia del popolo e teologia della liberazione

Con quali categorie teologiche Papa Bergoglio ha affrontato le due sfide? Con quelle elaborate dalla cosiddetta “teologia del popolo”, una corrente di pensiero nata proprio in Argentina, all’indomani del Concilio Vaticano II e della Conferenza di Medellin del 1968 dell’Episcopato latino-americano, aperta da Paolo VI il 24 agosto 1968. A Medellin si era imposta, in realtà, la teologia della liberazione di Padre Gutierrez e altri, che portò alla fusione tra cristianesimo, marxismo e la lotta di classe, anche armata. Camilo Torres, sacerdote e guerrigliero, era caduto solo due anni prima a Patio Cemento, in Colombia.

La “teologia del popolo” declinò invece in modo diverso “l’opzione preferenziale per i poveri”, parlando piuttosto di “popolo” e di “anti-popolo”. Oggi diremmo “popolo contro élites”. Riecheggiava in questa distinzione l’ideologia socio-politica fondante del peronismo, che ha permeato profondamente la società e la politica argentine, dagli anni ’40 del ‘900 fino ad oggi. Il popolo protagonista di questa teologia non è quello capace di organizzare la lotta di classe, ma quello dei poveri, degli esclusi, degli ultimi.

Nel pensiero geopolitico di Francesco le globalizzazioni sono due: quella dei ricchi e quella dei poveri. È “la guerra mondiale a pezzi”, combattuta tra i ricchi, mentre i poveri ne sono le vittime. Francesco denuncia la guerra, difende i poveri, attirandosi con ciò l’accusa di essere comunista e rivoluzionario.

La Chiesa di Papa Francesco

Da queste opzioni fondamentali è nata “la Chiesa di Bergoglio”. In primo luogo, una Chiesa europea, africana, asiatica, cinese, latino-americana, oceanica: una Chiesa-mondo. La composizione del Collegio cardinalizio rispecchia questa tendenza, anche se i Cardinali europei sono ancora la maggioranza dei Cardinali elettori, 54 su 138. Bergoglio ha spronato a scrivere con gli alfabeti e le grammatiche di altre culture il messaggio aramaico-ebraico di Gesù, il cui nucleo ardente e inestinguibile da 2000 anni è l’amore di Dio e l’amore dell’Uomo.

I quattro Evangelisti avevano usato la lingua della “koiné” ellenistica, poi tradotta nella Vulgata latina. Ma la Chiesa è veramente cattolica – καϑολικός vuol dire, appunto, universale – non tanto se estende su scala globale l’uso delle categorie della metafisica greca, ma, soprattutto, se riesce a renderne il contenuto nelle altre civiltà del mondo.

La Chiesa degli ultimi, l’ospedale da campo

In secondo luogo, la Chiesa è quella “degli ultimi”, l’“ospedale da campo”, un luogo dove si curano le ferite che il divenire storico infligge al tessuto esistenziale personale e a quello collettivo, al tempo della globalizzazione. Dunque, una Chiesa pastorale più che una custode inflessibile di verità immutabili. Non che Francesco sia agnostico sul piano dottrinale, ma non crede che sia lì che si gioca, oggi, il futuro della Chiesa. È nello slancio comunitario e missionario che si decide il suo destino, come spiega nella “Evangelii Gaudium”.

Una “Chiesa in uscita”. Che, per rispondere ai nuovi bisogni, è chiamata a cambiare struttura. Di qui l’affiorare timido, per ora, del discorso del sacerdozio delle donne e dell’estensione diaconale a persone sposate delle funzioni finora esclusive del prete, così come fu pensato dal Concilio di Trento. Aver osato metterlo in discussione, ha causato a Bergoglio l’accusa di essere antipapa e eretico.

Il fatto è che, dopo il Concilio Vaticano II, i cinque papi successivi si sono trovati di fronte alla sfida della secolarizzazione. Nessuno poteva o potrà venirne a capo a breve.  Forse si dovrà prendere alla lettera il profeta Isaia, 40,3, quando dice: “Nel deserto preparate la via del Signore”. E’ in questo deserto che è atteso il successore di papa Bergoglio.

Giovanni Cominelli

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