La stampa internazionale si sta orientando abbastanza concordemente sull’idea che il recente assassinio del principale scienziato nucleare iraniano, Mohsen Fakhrizadeh, sia avvenuta in un contesto molto diverso da quello in cui sono stati uccisi circa sei suoi colleghi nel periodo andato dal 2010 al 2012.

Quegli omicidi mirati sarebbero stati giustificati dall’idea di rallentare lo sviluppo del programma nucleare iraniano in un momento in cui sembravano destinati al fallimento tutti gli sforzi in corso da parte della diplomazia internazionale impegnata nel PACG( Piano d’azione congiunto globale o Joint Comprehensive Plan of Action Group) comunemente chiamato dei “5 +1” ( i cinque membri permanenti delle Nazioni Unite, Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno Unito, più la Germania) per raggiungere un accordo che impedisse a Teheran di dotarsi dell’arma atomica.

Poi, nel 2015, quell’accordo giunse, ma ci volle poco perché lo cancellasse unilateralmente Donald Trump appena subentrato a Barak Obama alla Casa Bianca. Ovviamente, l’Iran si sentì libero di riprendere il proprio piano di arricchimento dell’uranio che, pur avendo notevolmente superato le quantità previste da quell’accordo  sarebbe ben al di sotto del livello necessario a dotare l’Iran di un ordigno atomico entro il 2031.

In vista del cambio d’inquilino alla Casa Bianca, le autorità della Repubblica islamica iraniana si sono dette pronte a tornare al pieno rispetto dell’accordo del luglio del 2015 se l’amministrazione Biden lo accetterà nuovamente e  revocherà le pesanti sanzioni reintrodotte dal suo predecessore, Donad Trump.

Molti analisti  danno per scontato che l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh sia stata organizzata per  rendere difficile la possibilità che Jon Biden provi a tornare rapidamente sulla via dell’accordo interrotto. Il dito è puntato contro Israele, ma fino ad oggi le autorità dello Stato Ebraico non si sono assunte le responsabilità dell’omicidio non condannato finora neppure dalla Casa Bianca. Lo ha fatto Ben Rhodes,  vice consigliere per la sicurezza nazionale quando Biden era vicepresidente di Obama, che l’ha definito “un’azione oltraggiosa volta a minare la diplomazia tra l’amministrazione statunitense in arrivo e l’Iran”.

Che anche gli iraniani sospettino che l’attentato mortale al  capo del loro progetto nucleare abbia motivazioni di natura politica e diretto a complicare il ritorno al tavolo delle trattative lo si evince dalle reazioni di Teheran.

Se il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha promesso una “punizione definitiva per gli autori e per coloro che l’hanno ordinata”, minacciando Israele con una potenziale risposta militare da vedersi attuata nei prossimi giorni, e un giornale iraniano espressione dell’ala dura degli ayatollah ha suggerito che l’Iran potrebbe  attaccare Haifa, la città portuale nel nord di Israele, il presidente Hassan Rouhani ha affermato che l’Iran risponderà nei modi e nei tempi che riterrà più opportuno. Dopo aver incolpato apertamente Israele, Rouhani ha aggiunto: “Questo brutale assassinio mostra che i nostri nemici stanno attraversando settimane ansiose, settimane in cui sentono che la loro era di pressione sta volgendo al termine e le condizioni globali stanno cambiando”.

Una reazione rabbiosa, dunque, ma cauta, tutto sommato simile a quella successiva all’uccisione Qasem Soleimani, il generale a capo della forza Niru-ye Qods che ha il compito di collegare le forze militari filo iraniane che operano fuori del paese islamico, soprattutto in Iraq, in Siria e nel Libano. Soleimani fu ucciso nel gennaio scorso durante un attacco aereo  americano mirato, condotto su preciso ordine di Donald Trump. Sostanzialmente, l’Iran non si è vendicata di quella morte anche se non sono mancati attacchi missilistici condotti dal Libano contro Israele soprattutto dagli Hezbollah filo iraniani .

 

 

 

 

.

About Author