Una parte importante del convegno organizzato da INSIEME ieri a Roma è stata dedicata alla tavola ritonda dal titolo “Oltre il bipolarismo”, organizzata e coordinata da Maurizio Cotta. Al dibattito hanno partecipato l’on. Ettore Rosato, Vice Presidente della Camera ed esponente di spicco di Italia Viva e i professori Ernesto Galli della Loggia, Mario Morcellini e Angelo Panebianco.

L’esordio di Cotta è stato netto: parliamo di seppellire un “morto che cammina”. Il bipolarismo è morto a tanta distanza dal momento in cui sembrò rappresentare un cambiamento utile e fece nascere molte aspettative. In realtà, ha detto Cotta, oggi registriamo che quelle aspettative non sono state rispettate. per questo basta riferirsi alla riforma della Giustizia, alla riduzione del divario tra centro e periferie, alla mancate modernizzazione dell’economia e della Pubblica amministrazione. E’ questo il frutto dell’esaurirsi di quel sistema politico in mere schermaglie ideologiche e personalistiche, nella demonizzazione dell’altra parte, nella mancanza di rispetto reciproco e della capacità, invece, di competere sui grandi temi e le problematiche del Paese.

Recentemente, ha proseguito Cotta, il bipolarismo ha finito per affidare al capo dello Stato la formazione del Governo. Soprattutto ha contribuito alla nascita del populismo che, dopo il grande successo elettorale, fallisce la prova governativa,  come hanno dimostrato le esperienze dei 5 Stelle e della Lega a trazione Salvini che non hanno saputo trasformare le loro istanze in azione di governo. Secondo Cotta non viene risposta alla domanda, a sinistra, di cosa ci sia il cosiddetto “campo largo”, così come a destra non si capisce della dislocazione europea che trova tutte le sue componenti in posizioni diverse, e questo quando appare sempre più evidente quale sia il peso della dimensione internazionale dei problemi.

Intanto incalzano le grandi questioni: dalla transizione ambientale alla situazione di guerra che stiamo vivendo e, ancora all’inflazione e al rallentamento della crescita. E’ quindi necessario una visione nuova della società scoprendo il senso della solidarietà che non può essere concepita come erogazione di sussidi e, quindi è richiesto un cambio istituzionale. Siamo consapevoli, ha detto Cotta, che i sistemi elettorali diretti alla formazione di una maggioranza poi, in realtà, non concorrono a crearla. Quindi, volgiamo qualcosa di più rispettoso per le tante forze nuove che vogliono emergere. Anche perché il prossimo Parlamento dovrà affrontare alcune riforme basate sul consenso largo perché per essere efficaci non possono essere fatte da una sola parte contro l’altra.

Il prof. Galli della Loggia ha espresso il convincimento che la crisi italiana non può che essere risolta se non in maniera radicale, ma con il dubbio che l’inizio possa essere quello della riforma elettorale, mentre si dovrebbe puntare su due obiettivi: il rapporto tra eletti ed elettori e superare l’impunibilità  delle decisioni politiche. Questo concorrerebbe a ridefinire la legittimazione del sistema politico parlamentare. A suo avviso vi sono delle questioni che hanno determinato la crisi del Paese, la quale- a suo avviso – precede quella della Politica: siamo di fronte ad una crisi complessiva, culturale, mentre il sistema politico è afflitto da una “cattiva” Costituzione. Secondo Galli della Loggia, non si esce dalla crisi mantenendo il culto della Costituzione, quando il Presidente del Consiglio è solo un primus inter pares e non può cambiare neppure un ministro, e questo colpisce al cuore la funzione direttiva del Governo, o quando il Presidente della repubblica è diventato sempre più un dominus occulto. Galli della Loggia si è riferito anche ai rapporti tra magistratura e politica e al fatto che le leggi non contano più niente perché vengono poi i decreti attuativi gestiti da altre entità occulte. Tutto ciò ha corroso la vita politica italiana. Da tutto ciò si esce, secondo Galli della Loggia, con programmi precisi e non con l’elencazione dei problemi e sapendo che è necessario indicare scelte che fanno anche male a qualcuno.

Il prof. Panebianco si è detto d’accordo sulle riflessioni relative a quello che non va nella Costituzione e sul fallimento del bipolarismo che, però, a suo avviso non andrebbe abbandonato a livello di elezioni dei sindaci. In ogni caso, le riforme elettorali avvengono sempre dopo il cambiamento degli equilibri politici. Ma con un bipolarismo fallito permangono tradizioni politico-culturali dure a morire qual è quello dello scontro tra le parti. In realtà, questa la sua opinione, le istituzioni sono sempre state deboli, ma la cosa era celata nella stagione in cui vi erano presenze di partiti forti, in grado di occupare tutta la scena. Il passaggio al bipolarismo è stato consentito dal declino dei partiti. Il fallimento fa sorgere la necessità di qualche cambiamento, ma questa legge elettorale non cambierà. Una legge che è maggioritaria nel momento del voto e diventa proporzionale successivamente in Parlamento, come abbiamo visto confermato dopo le elezioni del 2018. Se la legge resterà quella che è, chi vuole un cambiamento deve pensare a qualcosa d’altro. Questo qualcosa d’altro potrebbe essere quello di dare vita ad una federazione di centro. Così chi, come INSIEME, pensa a qualcosa di nuovo deve trovare un accordo con altri. Solo in questo modo, ammesso che abbia successo, si può pensare ad avere qualche opportunità per imporre il cambiamento sul piano istituzionale. Anche Panebianco pensa che sia necessario avanzare proposte concrete che hanno un senso se vanno contro qualcuno. Così lancia la proposta di una Scuola che torni ad essere ferocemente meritocratica e in grado di lottare contro l’analfabetismo funzionale tanto diffuso nella società italiana. Certo, ha concluso, può essere una proposta impopolare in un paese molto anziano e che ha da difendere tanti interessi consolidati.

L’on Ettore Rosato, ha detto di condividere la considerazione che il bipolarismo costituisca un elemento di fragilità. Ma a suo avviso non è il bipolarismo ad essere il nemico del Centro. Con il bipolarismo, invece, si vince al centro. La conferma viene dalle elezioni locali, dove i sindaci sono votati dal centro. Il Parlamento non fa più le leggi, le approva, ma non le fa. Leggi ed emendamenti non sono più scritti dai parlamentari, ma dalla burocrazia. Così, in questa situazione, non si farà la riforma della Magistratura fino a quando resterà il bicameralismo. A suo tempo, ha ricordato l’on. Rosato, una parte del Pd e i 5 Stelle votarono contro il sistema alla tedesca e sono gli stessi adesso a volere il proporzionale. A suo avviso, il vero problema è allora quello della qualità della politica e dei partiti. Il populismo vive di annunci e non c’è la verifica dei risultati raggiunti. I centristi, i moderati  si contraddistinguono sulla base del linguaggio, non dei contenuti che devono essere più netti, più rivoluzionari.

Il prof Mario Morcellini, ha detto di ritenere che la crisi provocata dal Covid e dal resto che stiamo adesso vivendo dimostra che la società italiana non esprime una Politica all’altezza necessaria. Il bipolarismo pone il problema del cambiamento perché è fallita la promessa della governabilità. Viene infatti meno la corrispondenza delle maggioranze che si formano in Parlamento con quelle espresse dagli elettori, mentre il maggioritario vuole ridurre la scelta solamente tra due proposte tra tutte quelle disponibili. Finora abbiamo visto maggioranze senza maggioranza percepita, premi per i furbetti e i voltagabbana e, quindi, la frammentazione dei gruppi parlamentari. A ciò fa seguito l’appiattimento dei media esclusivamente sui due poli contrapposti, la personalizzazione, il verbalismo, l’odio, e dunque constatiamo l’impoverimento dell’offerta politica. Secondo Morcellini, non manca la partecipazione, il fatto vero che essa non c’è in politica. Colpisce in particolare la mancanza della chiamata dei giovani ed è quindi necessario individuare nuovi meccanismi in grado di cambiare l’età, il genere e la qualità che vediamo oggi nella Politica.

Nel corso del successivo  dibattito è intervenuta Valentina Grippo, portavoce nazionale di Azione nata partendo dalle stesso domande poste dal convegno di INSIEME. Però, ha detto, l’esperienza romana dice che l’unica strada è quella della relazione con i cittadini e la capacità di formulare proposte chiare e d’indicare una guida in grado di proporre delle risposte. Le esperienze civiche ci dicono che a loro manca una rappresentanza politica nazionale perché non basta la frammentazione dei territori. Questa è un’occasione da non sprecare perché c’è una domanda di partiti cui, tutti insieme, dobbiamo dare una risposta.

Maurizio Cotta non ha condiviso taluni giudizi sulla Costituzione, anche se su taluni punti è necessario intervenire senza però alzare troppo le speranze sui risultati raggiungibili, com’è quella di vedere il Presidente del consiglio con la possibilità di cambiare i ministri.

Stefano Zamagni ha ribadito il concetto che è la politica ad aver fallito. La dimostrazione viene dall’essere l’Italia l’unico paese ad aver perso quote significative di Pil, di ricchezza procapite, una diminuzione dei salari del 6%, ad avere assistito all’abbandono di 5,6 milioni di cittadini dal 2006 ad oggi. E questo nonostante non esista un “rischio Italia” dal punto di vista economico mentre il vero rischio è quello politico come del resto dimostra lo spread che rivela l’esistenza di una mancanza di fiducia.

Sempre sulla questione politico istituzionale è intervenuto Alessandro Diotallevi secondo il quale molti giudizi sulla Costituzione vengono da chi non ne ha capito il significato e la portata. Se è vero che la crisi dei partiti non è cosa recente, è necessario considerare che quella di oggi è del tutto particolare perché adesso è messa in discussione la partecipazione dei cittadini. Riemerge così la necessità di andare all’attuazione dell’art.49 della Costituzione che delinea la partecipazione attraverso i partiti e soprattutto deve servire a definire la responsabilità dei partiti sull’orientamento dell’uso del denaro pubblico.

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