L’articolo che segue è la seconda parte dell’intervento dello stesso autore pubblicato lo scorso 23 maggio( CLICCA QUI )

 

Le problematiche dovute alle armi ipersoniche:
Cito dallo studio di Alessandro Pascolini pubblicato su IRIAD Review. Studi sulla pace e sui conflitti 12/2020 ( CLICCA QUI ).

“La Francia è impegnata nella ricerca sulla tecnologia ipersonica dagli anni ’90, sia per modernizzare il proprio arsenale nucleare, sia per mantenere una parità tecnologica con gli Stati Uniti, anche nella prospettiva di esportazioni sul mercato internazionale. L’Agenzia acquisizioni della difesa francese ha sostenuto una ricerca per veicoli aerei senza pilota (UAV) strategici ipersonici (Mach 8), basati su missili lanciati da aereo; il sistema Promethee utilizzerebbe una propulsione ramjet/scramjet a geometria variabile utilizzante tecnologie sviluppate in collaborazioni con la Russia”.

“L’ambiguità di armamento (nucleare o convenzionale) costituisce un grave rischio, dato che gli attaccati possono interpretare erroneamente il lancio di un veicolo con armi convenzionali e concludere che il missile trasporti invece armi nucleari, suggerendo la necessità di una risposta nucleare.”

“Le armi ipersoniche, per la loro alta manovrabilità, possono indurre un Paese che ne osserva il lancio a concludere erroneamente di essere il vero obiettivo dell’attacco, mentre il veicolo è destinato a un altro paese (ambiguità di destinazione). L’ambiguità di destinazione potrebbe esacerbare l’ambiguità di armamento e introdurre altri rischi. La rapidità di un attacco ipersonico potrebbe rivelarsi destabilizzante per un Paese che avesse limitate informazioni sulla natura dell’attacco e insufficiente tempo per raccogliere più informazioni e pianificare una risposta appropriata. In tali circostanze una nazione che non era un obiettivo prefissato potrebbe scegliere di reagire militarmente rapidamente, piuttosto che attendere ulteriori informazioni.”

“Uno Stato può erroneamente ritenere che siano minacciate le proprie forze nucleari, mentre l’obiettivo sono sistemi convenzionali (ambiguità di obiettivo); il rischio è tanto maggiore data la crescente integrazione dei sistemi di comando e controllo nucleari e convenzionali. Il timore che le proprie forze cruciali – in particolare le armi nucleari – siano vulnerabili ad attacchi preventivi di sistemi ipersonici convenzionali può creare pressioni su uno Stato a impostare le proprie forze strategiche per un “lancio su allarme”, o usare o minacciare di usare tali forze per primo per evitarne la perdita (instabilità in situazioni di crisi). La postura di allerta incoraggia a disperdere le forze e a devolvere il comando e il controllo strategico a comandi inferiori, misure estremamente destabilizzanti in quanto abbassano la soglia per azioni militari più gravi. Un attacco ipersonico potrebbe verificarsi con brevissimo preavviso (qualche minuto), comprimendo i tempi di risposta del Paese attaccato, che deve anche risolvere le ambiguità inerenti all’attacco. Errate valutazioni, incomprensioni e problemi di comunicazione nel corso del conflitto diventano più probabili, contribuendo inavvertitamente ad acuire la crisi e all’escalation militare”.

“Le armi ipersoniche con armamento nucleare ricadono nel dettato dell’articolo VI del Trattato di Non Proliferazione (NPT), che prevede il disarmo nucleare, e potrebbero venir discusse nell’ambito della prossima conferenza di revisione, prevista in agosto 2021. Tuttavia l’argomento non è stato sollevato nel corso dei lavori preparatori alla conferenza, per cui non vi sono prospettive in tal senso.”

“Dopo anni in cui la politica del controllo degli armamenti è stata messa in crisi e la tensione fra le potenze nucleari è andata sempre crescendo fino a un livello altissimo ed estremamente pericoloso, è necessario un rallentamento generale della corsa agli armamenti e un riesame complessivo degli enormi arsenali militari, inclusi i progetti in corso, per rafforzare la stabilità a livello strategico e regionale, al fine di ridurre il rischio nucleare. Tutti i Paesi devono convincersi che la sicurezza delle popolazioni non si riduce alla dimensione militare, ma richiede un prioritario impegno su altri fronti ben più importanti.”

Tenuto conto di queste problematiche a riguardo della dissuasione si può dire che “nessuno mette in dubbio le conseguenze catastrofiche di una guerra nucleare. […] Nessun obiettivo politico, economico o militare potrebbe giustificare questo risultato. Né vi è qualcuno che creda che ogni essere umano o dispositivo tecnologico, sistema o strumento, funzionerà per sempre senza guasti o errori. Tuttavia accettiamo il rischio di una guerra nucleare che fa affidamento su una strategia di deterrenza nucleare perché siamo convinti che il rischio sia basso e perché nessuna scuola tradizionale di pensiero strategico sta promuovendo un’alternativa. Il concetto di rischio comprende il rapporto tra conseguenze e probabilità di un dato evento. Se le conseguenze di un evento sono estremamente negative, come la devastazione derivante dalla guerra nucleare, si desidera quindi che la probabilità che quell’evento si verifichi sia infinitamente piccola, il più vicino possibile allo zero. Ma le questioni relative alla probabilità di una guerra nucleare, e quali fattori possano determinare cambiamenti in questa probabilità nel corso del tempo, sono state soggette a poche analisi scientifiche o accademiche. Si tratta di una palese omissione nel discorso strategico. Sappiamo che la deterrenza nucleare può venir meno, sia attraverso decisioni sbagliate, escalation durante una crisi, una serie di errori meccanici e umani, o atti malevoli che portino ad un uso involontario”[6].

La sicurezza nelle sfide attuali

I Paesi che detengono l’opzione nucleare hanno delle ragioni più o meno confessabili per mantenerle: l’arma nucleare appare come il segno estremo del potere che lega tutti coloro che non la possiedono in una categoria indifferenziata e subalterna mentre conferisce ai suoi detentori una superiorità indiscussa nella distribuzione del potere. Occorre inoltre sapere che queste armi fanno vivere parecchi laboratori e diverse industrie che mantengono capitali considerevoli. Coloro che sono implicati in questo settore non possono che vedere di cattivo occhio l’abbandono della sorgente dei loro notevoli guadagni. D’altra parte la possibilità di sviluppare una tecnologia di punta legata alla modernizzazione continua di queste armi consente loro di scavare un gap tecnologico specifico rispetto agli Stati non detentori. Inoltre per gli Stati detentori le armi nucleari rappresentano una vetrina tecnologica facilitando la vendita del nucleare civile, tanto più che il Trattato di Non Proliferazione incoraggia gli Stati nucleari ad aiutare gli altri ad acquisire queste tecnologie. L’arma politica diviene così anche un’arma commerciale permettendo una certa dominazione economica. Insomma è una forma di totalitarismo tecnologico che espande la sua sfera di influenze attraverso la tattica del terrore. Un’altra ragione, sempre legata al prestigio che queste armi sembrano conferire agli Stati che le possiedono, è l’associazione allo statuto di membro permanente del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, che permette di avere un maggior peso sulla scena internazionale. Come ha bene sottolineato in un articolo, del quale condivido l’analisi geopolitica, ma non le conclusioni in particolare a riguardo della necessità di una forza nucleare europea, pubblicato su Politica Insieme, Edoardo Almagià afferma ( CLICCA QUI ): “Se si vuol discutere di politica estera, si deve inevitabilmente parlare di nucleare: la politica estera è infatti politica militare”. La buona politica non deve però cavalcare le attuali logiche mortifere del potere, quanto piuttosto trasformarle attuando una vitale conversione.

Inoltre, c’è un effetto detto “equalizzatore” dell’arma nucleare per cui uno Stato che possiede qualche bomba nucleare può minacciare un altro che ne possiede molte di più. Ciò non può che incoraggiare la proliferazione come ha dimostrato la Corea del Nord e sta rendendo evidente la questione iraniana. Tutto ciò implica dunque un ruolo di arma politica che si aggiunge a quello di arma di dissuasione e che contribuisce a bloccare i rapporti di forza tra gli Stati al punto in cui si trovano. L’unica vera soluzione consiste nella messa al bando totale di queste armi a livello della legislazione internazionale come avvenuto con l’entrata in vigore del TPNW e attraverso la promozione di un disarmo progressivo in modo da garantire la loro sparizione definitiva.

“Oggi un attacco terroristico è considerato essere molto più probabile di un attacco da parte di un altro Stato. Le armi nucleari USA non scoraggiano attacchi terroristici. Al-Qaeda ha attaccato Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan, alcuni paesi della NATO, cittadini israeliani e i rispettivi interessi. Anche la Russia ha subito attacchi terroristici. Tutti questi Stati sono in possesso di armi nucleari o alleati con potenze nucleari. L’esistenza di armi nucleari nell’era del terrorismo globale crea un onere di sicurezza molto reale per tutti gli Stati. L’incertezza chiave nel contesto di sicurezza non è se le nazioni saranno attaccate da terroristi e da attori non statali, ma se tali attori acquisiranno i mezzi per spostarsi dagli esplosivi convenzionali a quelli nucleari, rendendo i loro inevitabili attacchi forieri di conseguenze molto maggiori. Per prevenire un attacco nucleare da parte di terroristi e attori sub-statali, gli Stati devono elaborare con successo una strategia per negare loro la possibilità di acquisire armi nucleari. Le attuali tendenze strategiche sono in contrasto con tale obiettivo”[7].

L’esperienza mostra che l’interdizione di un determinato tipo di armi è possibile come per esempio le mine antipersona, le armi chimiche e biologiche, le bombe a frammentazione, etc. Se ciò non avviene non è per ragioni tecniche, ma unicamente per un’assenza di volontà politica. La vera soluzione consiste quindi nel creare le condizioni politiche che permettano l’eliminazione delle armi nucleari. L’obiettivo è chiaro, cioè quello di pervenire all’abolizione totale delle armi nucleari e creare inoltre le condizioni di una pace duratura. La maggior parte dei Paesi della Nato sono favorevoli a un ritiro delle armi nucleari dalle loro basi in Europa. Purtroppo la Francia si è opposta in occasione della riunione del Consiglio della Nato nel novembre 2010 a Lisbona. Se la Francia cambiasse posizione anche a questo riguardo, oltre che manifestare perplessità sulle capacità cognitive della NATO[8], il ritiro delle armi nucleari americane diventerebbe più agevole e questo sarebbe un fattore positivo per chiedere alla Russia[9] di eliminare le sue armi nucleari tattiche tuttora orientate verso l’Europa. Un’altra tappa essenziale richiesta da tutti i Paesi non dotati di armi nucleari è la soppressione dello stato di allerta permanente. L’eventualità di un attacco o risposta anche solo per errore o per un malinteso non è affatto da escludere, come l’esperienza ha fatto ripetutamente intravedere. La Francia ha un tempo di allerta sensibilmente più lungo (di qualche ora invece che di qualche minuto), grazie all’assenza di basi di lancio terrestri molto più facilmente localizzabili rispetto ai sottomarini. Essa potrebbe quindi, con la soppressione del suo stato di allerta, proporre una distensione nel contesto dell’attuale situazione internazionale. Ciò consentirebbe di invitare Stati Uniti e Russia ad adottare un atteggiamento analogo. I partiti politici animati dalla società civile dovrebbero giocare un ruolo maggiore in questo processo. Lo scopo è anche quello di far evolvere la democrazia in questo campo. In effetti l’opacità dei governi ha privato le nostre società del diritto a un pubblico dibattito seguito da una partecipazione effettiva a livello delle decisioni. Infine vi è l’enorme costo finanziario e psicologico di un deterrente nucleare che contrasta con l’attuale situazione di grave crisi pandemica ed economica mondiale e mette ancora più in evidenza il carattere ingiustificato degli investimenti per le armi nucleari.

“Un sistema di sicurezza internazionale, basato sulla volontà delle nazioni di suicidarsi reciprocamente al fine di proteggersi, è sempre stato riconosciuto come una soluzione non ottimale al dilemma della sicurezza. Questo modo di vedere la sicurezza è gravido di grandi rischi per le nazioni del mondo e per i popoli e dovremmo essere nella continua tensione di ricercare modi più razionali e più umani per raggiungere la sicurezza. Il disarmo nucleare è stato perseguito da più di 60 anni e sancito come obiettivo internazionale supportato dal diritto non perché è una moralistica chimera di cittadini disinformati, ma perché molti seri addetti ai lavori e statisti internazionali lo vedono come un obiettivo essenziale di un ordine internazionale sostenibile”[10].

Il vero problema da risolvere oggi per la comunità internazionale è quello della sicurezza senza le armi nucleari. L’umanità si trova in un momento storico cruciale, di fronte a molteplici minacce interconnesse all’interno di un lasso di tempo ristretto. Oltre al potenziale uso di armi nucleari, il degrado ambientale, la scarsità di risorse, il cambiamento climatico, le pandemie globali, le crisi finanziarie e le catastrofi naturali caratterizzano le sfide della cooperazione internazionale. A partire da queste considerazioni si può intuire come l’interconnessione tra nucleare-ambiente-società civile sia un tema chiave.

Tommaso D’Angelo

 

[6] Vedi nota 5

[7] Vedi nota 5.

[8] “Nato in stato di morte cerebrale”: https://www.ilsole24ore.com/art/nato-stato-morte-cerebrale-ambizioni-macron-francia-e-ue-ACDUwQx?refresh_ce=1

[9] Disponibilità manifestata da Mosca sul tema: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/02/24/mosca-sul-disarmo-nucleare-coinvolgere-parigi-e-londra_b75de683-3265-49cc-ae71-a66077993072.html

[10] Vedi nota 5.

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