In un’estate ricca di avvenimenti nel quadrante euro-mediterraneo (le iniziative turche in Libia, lo scontro Grecia-Turchia, l’esplosione a Beirut, le elezioni in Bielorussia….) l’unica immagine che abbiamo della nostra politica estera è quella di un ministro in vacanza in barca. Ovviamente l’elettore si indigna per il ministro indegno: “Sei parte della Casta! Quattro anni fa viaggiavi in treno e oggi prendi il sole sullo yacht!” (ogni riferimento alle accuse via social di questi giorni è puramente voluto)
Legittimo. Logico. Non fa una grinza. Le priorità degli italiani sono queste: il ministro degli esteri si giudica dal mezzo di trasporto perché, ovviamente, innanzitutto viene il pauperismo e si sa che i risparmi della politica salveranno il paese dal disastro.
Non stupisce quindi che la nostra nazione non pervenga ove sarebbe opportuno: non in Libia, non nel mediterraneo orientale e nemmeno in Europa o in ambito Nato.
Potremmo parlare per ore di prospettive, scenari, piani di azione e via discorrendo ma, domando e mi domando, ha senso?
Oggi, per parlare di geopolitica, credo sia più opportuno interrogarci su noi stessi: quanto ci importa del mondo? Crediamo davvero al mondo interconnesso? O sono solo ipocrite favole? Ma, ancor prima, sappiamo chi siamo e cosa vogliamo? Domande da ripeterci come singoli, come parte di un’aggregazione e poi come nazione.
“Conosci te stesso” il monito greco dovrebbe ossessionarci, dobbiamo veramente sapere chi siamo noi, solo allora potremo sperare di riprendere il posto che nella storia abbiamo occupato, oppure di costruircene un altro.
Francamente non mi è chiaro se chi oggi si interessa di politica si domandi cosa cerca e dove voglia arrivare. Purtroppo non posso che constatare come la nostra attenzione sia monopolizzata da 100 malati di covid in più o in meno e il dibattito spesso ruota attorno ai più futili degli argomenti. Sono fermamente convinto che se gli elettori dovessero scegliere cosa sia prioritario trattare tra i banchi a rotelle dell’Azzolina e un tentativo di ridefinizione dei rapporti di forza nel mediterraneo privilegerebbero i primi ritenendo il secondo come un risiko da spiaggia affrontabile tra un cocktail e un tuffo. Non vedo quindi perché scrivere di Turchi, greci egiziani e prospezioni quando, come tutti, posso partecipare anche io di quest’ultimo scampolo d’agosto godendomi un cocktail, un pomeriggio di tintarella, una passeggiata o una nuotata.
Il ministro Azzolina avrà i suoi banchi a rotelle (o forse no ma, in fondo, che importa), Di Maio le sue meritate ferie, l’Italiano la sua dose di indignazione quotidiana e i nostri vicini detteranno le regole cui dovremo adeguarci su faccenduole di nessun interesse come ZEE, sfruttamento di giacimenti petroliferi, diritti di pesca, equilibri regionali ecc. ecc…
Se arrivati qui qualcuno se lo stesse chiedendo quanto ho posto per ipotesi nel precedente paragrafo è esattamente ciò che è accaduto nelle scorse settimane: in quella strana nazione che è l’Italia si è infatti parlato delle funeste iniziative del ministro Azzolina ignorando invece quelle di Erdogan, di Macron e delle altre nazioni affacciate sul mediterraneo.
Anche l’esplosione di Beirut non è, generalmente, servita a stimolare riflessioni ma ha solo fomentato il popolo degli “esperti” del web che si sono reinventati esperti artificieri dopo i mesi trascorsi a discettare di virologia.
La politica estera, come gli altri settori della politica, non permette improvvisazione o interessamenti spot ma presuppone che sia costantemente seguita e supportata da opportune riflessioni di cui Politica Insieme può essere portatrice non solo richiamando i politici ai loro doveri bensì anche elevando il tenore culturale dell’elettorato stimolandolo a interrogarsi e rendersi partecipe della riflessione.
Diversamente il rischio che corriamo è quello di essere inconsapevoli emuli della borghesia francese del 1914 che indignata protestò contro le redazioni dell’epoca che si perdevano a raccontare le “quisquilie” riguardanti l’assassinio di Sarajevo sottraendo spazi alle cronache dei processi penali che, all’epoca, svolgevano il ruolo riservato oggi alla programmazione televisiva d’intrattenimento.
Mattia Molteni