Due ore di colloquio telefonico tra Trump e Putin per concludere con dichiarazioni francamente dissonanti, non sono certo incoraggianti in ordine alla presunta svolta nel conflitto ucraino.

Di fatto, Putin non vuole per niente finire la guerra e sorprende che ci sia chi ancora non l’ha capito. Ha buon gioco e può permettersi di far girare a vuoto Trump come fosse una trottola. E forse “the Donald”, per tardo e supponente che sia, comincia a capirlo, cosicché, più che della pace, si sta preoccupando di uscire personalmente indenne dal ginepraio che ha concorso a creare. Un gioco dei “quattro cantoni”, con abbondanti dosi di cinismo, sulla pelle dell’Ucraina. Una partita per ora senza sbocchi, nella quale Putin tiene il bandolo della matassa ed, anziché, dipanarla, la ingarbuglia come crede.

Trump ha voluto dare il fischio d’ inizio alla partita, immaginando di corrispondere, in tal modo, pur tardivamente, alle sue promesse ed ai suoi vaniloqui elettorali. Ma subito si è chiamato fuori, affidando ai due contendenti l’onere di regolarsi tra loro nella trattativa. Una posizione pilatesca, niente affatto neutrale, di fatto a sostegno del più forte e, peraltro, comprensibile in un personaggio che intende solo i rapporti di forza – e qui c’è una consonanza con Putin che non è cosa da poco, nell’ intera dinamica della vicenda – impermeabile ad ogni altra categoria di valutazione della guerra in corso, dal rispetto del diritto internazionale alla sensibilità morale nei confronti di un vero e proprio genocidio, non meno grave di quello messo in atto da Netanyahu contro il popolo palestinese.

Da parte sua, Putin se la gioca sul velluto e, dal suo punto di vista, fa una mossa audace e spregiudicata, che lascia Trump con il cerino in mano. Vuole rovesciare, di fatto , il tavolo e, pretende, cioè, di chiudere la partita prima di avviarla, cosicché la “trattativa” altro non sia se non la celebrazione della sua vittoria. Pretende, infatti, che siano risolti preventivamente i nodi che hanno giustificato – a suo dire – l’ “ operazione speciale” e solo poi si potrà pensare al “cessate il fuoco”. Si sente, non a torto, in una botte di ferro. Sa che, alla fin della fiera, Trump sta dalla sua parte contro Zelensky ed è addirittura disponibile – salvo qualche frase di formale omaggio pronunciata da Vance, in occasione della merenda a Palazzo Chigi con von der Leyen – a concedergli l’ Europa, in una sorta di “comodato d’ uso”. Sa che la NATO non puo’ sfiorarlo neppure con un dito. Sa di avere importanti “teste di ponte” nei Paesi dell’ Unione Europea, sia tramite i pacifisti a senso unico che, addirittura nei governi, a cominciare dal nostro.

Come su queste pagine, abbiamo sostenuto dal giorno dopo l’invasione dell’ Ucraina, la cosiddetta “operazione speciale” non è un evento singolare, ma la tappa di una strategia di lungo corso che Putin conduce con il sostanziale consenso della Cina o almeno con la tacita, interessata connivenza del leader cinese. Peraltro, Pechino, sulla scorta di una ultra-secolare, finissima arte diplomatica, sa come dosare le mosse e gestire una strategia avvolgente, tramite un delicato equilibrio tra il suo interesse a conservare un rapporto aperto a quell’importante mercato delle sue merci che è l’Occidente e, nel contempo, minare, di quest’ultimo, il fronte.

D’altra parte, se Trump minaccia di prendersi la Groenlandia con la forza, perché Putin non dovrebbe sentirsi autorizzato a fare altrettanto con la Finlandia, ai cui confini sta già predisponendo i suoi apparati militari ? E così Xi Jinping per Taiwan? Il diritto internazionale è un’ architettura delicata , che non sopporta infrazioni, a meno di collassare su sé stessa.

Domenico Galbiati

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