Il coma particolare della politica italiana continua. E poi ci si meraviglia che le gente esprima i propri disagi con l’astensionismo o con le discese in piazza che, sembrano, sì, riguardare altre questioni – nel caso specifico, quella palestinese – ma che, in realtà, levano un “basta” contro l’indifferenza verso i problemi reali dimostrata da gran parte di gruppi dirigenti sempre più chiusi nelle proprie cose.
La Calabria non è stata da meno. E si è andati sull’usato sicuro da parte di quella minoranza che è andata a votare. E del resto in una regione che non sta bene politicamente da molte legislature visto che è tornata al voto per la terza volta in cinque anni. Una terra senza pace che non sa che santo votarsi, come confermato dai lunghi anni in cui è passata dalla destra alla sinistra, e viceversa. Una regione che ha il 57% circa del valore del Pil nazionale; più del doppio, con oltre il 13%, del tasso complessivo di disoccupazione nazionale che è attorno al 6; i giovani calabresi (15-24 anni) sono senza lavoro per il 44,4% – lo dice la Camera di commercio di Reggio Calabria – contro il 19,3 della media nazionale; il tasso di occupazione femminile calabrese è tra i più bassi d’Europa con il 32/33% e quindi più di venti punti sotto quella nazionale che resta già, comunque, una percentuale da vergogna rispetto agli altri 26 paesi dell’Unione europea.
Eppure, abbiamo sentito ieri celebrare il “buon governo” del vincitore, Roberto Occhiuto. E nel caso fosse andata diversamente, siamo certi che i calabresi avrebbero ascoltato solenni promesse, le stesse di quando a governare erano quelli del campo avverso.
Nel dopo partita non poteva mancare il riferimento ai cattivi rapporti tra politica e magistratura. Come nel caso di tanti inquisiti – lui ha addirittura sciolto in anticipo di un anno l’Assemblea regionale – Occhiuto sembra credere davvero che il successo elettorale diventi un “lavacro”, sorvolando sul fatto che quest’opera di ripulitura deve fare i conti con la quantità reale del consenso confermato i calabresi e cioè da una ridotta frazione del totale degli aventi diritto. Ma noi non viviamo in un paese normale dove si dovrebbe capire quando è il momento di avere un po’ di discrezione e, almeno, di far finta di accettare le regole della distinzione dei poteri e, quindi, dimissionari o vincitori – come sono costretti a fare tutti i comuni cittadini – aspettano l’esito di un’inchiesta a loro carico. Poi, può darsi che, come ha detto lui, sia stato effettivamente sconfitto il tentativo di scalzarlo “per via giudiziaria”. Forse, egli sa molte più cose di noi, costretti ad attendere le conclusioni di un’inchiesta che riguarderebbe un caso di corruzione. E che noi, ovviamente, speriamo si concluda nel modo migliore per il rieletto.
Il centrosinistra – come accaduto la settimana scorsa nelle Marche – non è riuscito a scalfire la solida maggioranza regionale. Neppure lanciando l’idea del “reddito di cittadinanza” alla calabrese. Non sempre le ciambelle riescono con il buco, soprattutto quando sono frutto di un’improvvisazione elettorale. In ogni caso, in Calabria – dove si sapeva che le cose non sarebbero andate bene – il Pd ha pagato pegno ai 5 Stelle. Con la speranza che lo stesso schema funzioni, invece, in Campania dove la candidatura unitaria del centrosinistra è per Roberto Fico nonostante la cosa abbia sollevato molti malumori tra i ranghi del Pd. Quelli degli abituati a fare il bello e il cattivo tempo con la presidenza di Vincenzo De Luca.
La rivincita del centrosinistra è ora rinviata alle prossime tre regioni da sempre in mano alla sinistra – come nel caso toscano – e alla Campania e alla Puglia che escono dal lungo “regno” del già citato De Luca e di Michele Emiliano. Poi, sarà la volta del Veneto dove la partita, però, è destinata a restare in mano alla destra che prima o poi dovrà sciogliere tutti i propri nodi giacché è ragionevole pensare che un “accomodamento” lo troveranno.
E’ probabile, allora, che anche in occasione dei prossimi appuntamenti tra qui e novembre, nelle condizioni date, gli elettori vadano alle urne, insomma, come se ritornassero dallo stesso concessionario dove sono costretti ad acquistare auto da anni. Del resto, modelli nuovi non ne arrivano e si continua a guardare – però sempre in più ristretta compagnia – a quello che sfornano vecchi sistemi di potere e slogan roboanti, ma lontani, e per di più privi di alcun significato, per la maggioranza del corpo elettorale.
Ma mentre il mondo cambia, non bisogna disperare. E’ dalla società civile che sempre più emergono segnali tali da fare indurre ad un moto di speranza. Bisogna armarsi della pazienza necessaria al passaggio di questa “nuttata”! In attesa dell’arrivo di chi, interpretando la voglia di nuovo volteggiante tra la gente, la sappia trasformare in progetto politico e di governo.
Giancarlo Infante