Persiste tra tutti noi un mix di sentimenti contraddittori, difficili da analizzare, fatto di attese ed insieme di timori, di speranza frammista a diffidenza. Si avverte come vi sia un clima a tratti cupo, eppure non privo di una benevola fiducia. Neppure la relativa accelerazione della campagna vaccinale riesce a stabilizzare l’umore di un Paese che, da tempo, è stanco.

Siamo nel bel mezzo di un grande, inedito e spontaneo esperimento di psicologia sociale e di massa, forse irripetibile e che, appena ne saremo fuori, andrà studiato e ponderato a fondo. Per saperne di più su noi stessi, sui motivi di debolezza, sui punti di tenuta di un collettivo umano destinato ad affrontare,  nei prossimi decenni, prove dure, in cui sarà messa in gioco la stessa concezione di sé che l’umanità va rielaborando.

In questo momento siamo troppo coinvolti. Troppo a ridosso degli eventi per trarne un giudizio equilibrato ed illuminante. Vediamo solo l’ intrico inestricabile  della foresta. Dobbiamo guadagnare la giusta distanza per vederne l’insieme: le radure che nasconde, i sentieri che la attraversano, i confini che la stringono.

Intanto, il governo Draghi, grazie all’ampia maggioranza che comprende anche la Lega non soffre o soffre meno, a differenza del governo precedente, dell’ atteggiamento da “ bastian contrario”, talvolta da contropotere nei confronti del governo centrale, studiato ad arte dalle Regioni guidate dal centro-destra a trazione salviniana.

La pessima performance che la Lombardia ininterrottamente sta fornendo, da oltre un anno a questa parte, nella lotta alla pandemia,  costringe anche la Lega ad aggiustare il passo, per quanto Salvini non rinunci a proporsi come l’alfiere di una strategia “aperturista” che non rinuncia a tradurre in termini di ricerca del consenso, cioè di perenne rincorsa elettorale, una situazione che continua ad essere gravissima, umanamente inaccettabile e penosa.

Infatti, il bollettino di guerra  quotidianamente ci consegna centinaia di decessi che interpretiamo come segnale d’allarme o monito per chi resta, ma con scarsa consapevolezza del dolore che lacera le famiglie di chi se ne va, colpite dal venir meno inaspettato di persone sì anziane, ma ancora valide, con una attesa di vita ancora importante, nel cuore degli affetti di figli e nipoti. Morti per lo più avvertite come un’ingiustizia.

La scomparsa di chi è molto anziano o addirittura dei grandi vecchi è spesso accompagnata da una “pietas” commossa, soprattutto quando il declino è lento, ma inesorabilmente progressivo, cosicché la morte, pure nel dolore della separazione, non ha necessariamente un carattere drammatico. Ora gli anziani muoiono in un abbandono che alla fame d’aria, al dolore fisico aggiunge una sofferenza morale anche più severa. Di questi morti, caduti in una guerra inusuale e cruda, bisognerebbe avere rispetto. Per una elementare questione di civiltà e di considerazione del valore e della dignità della vita.

Avere rispetto significa, anzitutto, riconoscere che, sopra ogni altra valutazione, va mantenuto fermo l’essenziale obiettivo di salvaguardare la vita degli anziani. E’ inaccettabile, anzitutto sotto questo profilo di ordine etico, ancor prima che dal punto di vista strettamente politico, che vi sia chi – come insistentemente e con toni sempre più duri fa il capo della Lega – si sottragga ad un impegno comune, adombri addirittura di marcare la propria dissonanza in Consiglio dei Ministri e lo faccia senza altro motivo se non accarezzare per il verso del pelo, e per motivi di cassetta elettorale, categorie che indubbiamente soffrono.

Chi si era illuso che la presunta, improvvisa virata europeista di Salvini stesse ad indicare una maturazione moderata e solidale della Lega, probabilmente  ha preso un abbaglio. Se ogni forza politica della nuova maggioranza interpretasse il proprio ruolo alla maniera di Salvini, che ne sarebbe del governo Draghi? E’ lecito che qualcuno, irresponsabilmente, lucri a proprio vantaggio sulla responsabilità degli altri?

Per fortuna, Draghi usa parlare chiaro e tagliente più di quanto non appaia. Del resto, è bastata la bacchettata che Draghi ha giustamente assestato, intervenendo in Senato, alle Regioni, perché queste tornassero a polemizzare duramente con Roma. Si pone, dunque, un tema di carattere strutturale e, nel contempo, di cultura e di sensibilità politica, per quanto concerne il rapporto tra Stato centrale e Regioni. Ne nasce una destrutturazione dell’assetto istituzionale che trasmette, a maggior ragione, sentimenti di insicurezza e di precarietà anche al vissuto personale di molti cittadini che vorrebbero, al contrario, sentirsi rassicurati e protetti.

Noi non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che, per quanto vi sia sicuramente un distacco ed una disaffezione tra istituzioni e cittadini, questa non sia che una  faccia della medaglia. La quale sull’altro verso, reca – e vale soprattutto per le persone più semplici e più disarmate – un bisogno d’inclusione e di accoglienza, di riconoscimento e di appartenenza ad un contesto solidale che nelle istituzioni democratiche, soprattutto quelle locali, più immediatamente vicine, vorrebbe trovare un approdo sicuro.

Domenico Galbiati

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