Una parte della destra italiana, dal momento in cui Giorgia Meloni è arrivata al governo del Paese, ha scoperto la necessità di darsi un’anima e un’immagine diversa per farsi accettare. Tanto sono incombenti le ipoteche di un passato che pesa e non certamente alleviato dal fatto che, ogni giorno che passa, e più forte si fa sentire il vento nelle vele, emergere la propria composita articolazione. Del resto, al di là delle roboanti dichiarazioni, a nessuno sfugge che la maggioranza parlamentare e il Governo usciti dalle urne il 26 settembre scorso rappresentano un minoranza del Paese reale che per il 59% dei suoi aventi diritti al voto ha detto altro attraverso i crescenti fenomeni dell’astensionismo, del voto nullo o espresso con la scheda bianca. Il sostegno di tanta stampa compiacente, o di telegiornali trasformati in bollettini di partito e di governo, e il grave momento di crisi in cui si trovano le opposizioni, non compensano certamente la mancanza di un’ampia condivisione da parte del Paese.
Dunque, come confermano l’andamento di una maggioranza che resta preminentemente una convergenza d’interessi elettorali, il permanere di una forte perplessità e diffidenza internazionale, che non riguarda solo la destra, per carità, e per questo è emblematico che siamo al terzo anno di amministrazione Biden senza la nomina di un ambasciatore degli Stati Uniti, in molti si pongono alla ricerca di un’anima più spendibile in un contesto completamente diverso, internazionale e nazionale.
Nonostante le difficoltà quotidianamente emergenti con gli alleati, Fratelli d’Italia è riuscita nell’impresa di trasformare pienamente la proposta del centro-destra in quella di destra-centro. Visto quanto è evidente come il primo termine sia divenuto oggettivamente preminente rispetto ad un centro (comunque di destra) ridottosi ad avere un peso specifico davvero di risulta.
Esiste, dunque, la consapevolezza di una duplice deficienza: sia sul piano della gestione, sia su quello della cultura politica.
Fratelli d’Italia, dopo aver riunito l’anima dei nostalgici e una parte del conservatorismo cattolico, ha aggiunto alcuni degli spezzoni del fuoriuscitismo dal leghismo. Visto che Salvini non è riuscito a realizzare, lui, l’idea di dare vita a un partito di destra nazionale perché, in fondo, l’ossimoro rappresentato da un leghista che parla della Nazione italiana è difficile da concepire persino in una larga area dell’Italia opportunista e politicamente utilitaristica. Vi è poi un conservatorismo economico che non intende mettere l’Italia sulla via di uno sviluppo innovativo inevitabilmente destinato ad entrare in conflitto con le antiche politiche tese a sostenere il sistema produttivo “drenando” risorse, umane ed economiche, dal Meridione d’Italia e dalle aree più deboli, e continua a ritenere di restare nella competizione con il resto del mondo puntando sul contenimento del costo del lavoro e sfruttando migranti e precari oppure, come è stato per una lunga stagione, con le delocalizzazioni.
Ecco che allora ogni tanto, sui giornali fiancheggiatori, fa capolino la tentazione del “craxismo”. Quell’esperienza politica degli anni ’80 legata all’idea di creare un’alternativa al binomio Democrazia cristiana Partito comunista, caratterizzata dagli accenti di un nazionalismo più pronunciato di quelli espressi dal “mondialismo” cattolico o comunista. Craxismo che significava anche “cesarismo”. E accentuazione del concetto di gestione piuttosto che di rappresentanza, oltre che di un disinvolto cinismo politico il quale, come si legge sulle tante pagine di cronache di quel tempo, non si faceva scrupolo di drenare risorse pubbliche per sostenere la battaglia per il predominio politico. Strada su cui fu seguito da democristiani e comunisti.
Fu in quella stagione, allora, che l’occupazione delle posizioni di gestione decise dalla politica dette il peggio di se. Fu in quella stagione che cominciò l’impennata del Debito pubblico e fu lasciata definitivamente la briglia sciolta alle Regioni per avviare quella elefantiasi crescita legislativa regionale e della spesa che si rivelano oggi tra i problemi più importanti da risolvere per il nostro Paese. Sarà un caso se la Corte costituzionale è letteralmente ingolfata dal contenzioso tra organi dello Stato? Fu proprio con il Governo Craxi che, con un semplice DCPM, termine divenuto famoso tra gli italiani durante la pandemia, si dette vita a quella sorta di “arroganza del potere” rappresentata dalla Conferenza Stato – Regioni che, pur non avendo alcuna rilevanza d’ordine costituzionale, rappresenta una delle “camere” decisionali dei partiti a discapito del Parlamento.
Ci sono tante ragioni, insomma, perché il craxismo come metodo politico attecchisca tra la destra?