Siamo la seconda potenza industriale europea, ma tra gli ultimi per investimenti pubblici, produttività del lavoro, costo della energia elettrica, tempi per aprire una impresa, durata dei processi, rilascio di concessioni edilizie. E altro ancora se volessimo continuare.
Siamo una democrazia ormai consolidata, capace di battere il terrorismo da sola, di superare crisi economiche pesanti, ma abbiamo avuto sessantasei governi in settant’anni, quasi da repubblica sud-americana.
Come è possibile, mi chiede il mio amico americano che vive laggiù, nel Texas profondo, dove le cose vanno esattamente al contrario rispetto a noi. Non andiamo lontano a scomodare la storia, la geografia, l’antropologia e quant’altro. Basta la cronaca di questi ultimi giorni e soprattutto quello che sta dietro.
Primo. Pur vivendo uno dei più difficili momenti dal dopoguerra, con la crisi sanitaria mondiale che imperversa e quella economica che lascia già intendere un futuro prossimo devastante, il governo del Paese è appeso a un filo e si trova di fronte alla alternativa del diavolo: o sopravvive in formato arlecchino e senza una solida maggioranza che lo legittimi o cade e si apre la strada a soluzioni pur sempre precarie. E’ il risultato di venticinque anni di bipartitismo che doveva soppiantare la “prima repubblica” rappresentando il nuovo e soprattutto proporci nuovi protagonisti più capaci rispetto alla “casta” e ai partiti. Le conseguenze, e non da oggi, sono sotto gli occhi di tutti.
Secondo. Anche di fronte ai disperati tentativi di affrontare la diffusione della pandemia, alle doverose limitazioni, alle zone rosse o arancioni e ai problemi non solo economici e di libertà individuale ma persino etici che si pongono drammaticamente, le risposte sono le solite. Il governatore della Lombardia si oppone alla zona rossa, quello della Sicilia dice che invece la stessa non basta e altri dicono la loro con opinioni alternative ma quasi sempre critiche. Intanto affiorano inefficienze e incapacità persino nella gestione dei presidi sanitari più elementari come le mascherine e le siringhe, per non parlare dei vaccini. Altro che uno sforzo poderoso, comune e congiunto, per affrontare almeno l’emergenza.
Terzo. Il Piano Nazionale di Ripresa (PNRR) ovvero il grande progetto che dobbiamo presentare alla Commissione Europea per accedere alle consistenti risorse finanziarie del Recovery Fund e per rispondere alla crisi, è già in ritardo. Tutti d’accordo nel richiederlo ma divisi nel definire i contenuti e soprattutto per definire la gestione. E’ da settembre che alle Camere sono state trasmesse le linee guida concordate tra Ministeri, Regioni ed Enti locali ma la bozza del piano è stata presentata solo il 12 gennaio al Consiglio dei Ministri. Sono 178 pagine con la precisazione “riservato” ma diffuse nella rete e il modello di gestione che deve individuare le responsabilità del suo realizzo, garantire il coordinamento tra i ministeri e monitorare la spesa è ancora oggetto di discussione.
A Bruxelles aspettano e già il nostro più autorevole rappresentante, il commissario Gentiloni, lamenta sia l’inefficienza che il ritardo.
Quarto e ultimo. Anche l’altro strumento europeo che offre prestiti per affrontare la crisi sanitaria, e che fa capo ai Ministri delle finanze della Unione, è stato oggetto dell’ aspro confronto politico in atto per il veto posto dai Cinque Stelle. Non è bastata la riforma di questo meccanismo che ha rimosso le condizionalità, e quindi non prevede più né preannuncia la sorveglianza sul debito. Non si capisce quindi la chiusura del partito di maggioranza e dello stesso Conte. Anche perché le condizionalità ci sono, e ben chiare, proprio sul Recovery Fund: se non sapremo usare i soldi, o li useremo in modo sbagliato, dovremo restituirli subito. Né sono condizioni leggere tenuto conto che in passato non abbiamo saputo utilizzare, o lo abbiamo fatto male, i fondi messi a disposizione dagli organismi europei.
Ecco come bastano pochi cenni che appartengono alla ordinaria cronaca a spiegare perché siamo a questo punto. Tutto il resto, Renzi che fa le bizze, Conte che lancia le sfide, Mastella che si offre, Zingaretti che sembra un segretario di sezione, sono solo il contorno preferito dai media.
Guido Puccio