Quello che è accaduto in Canada, con la sconfitta della destra populista data per favorita, rappresenta un evento politico di straordinaria importanza per l’intero Occidente. Matteo Renzi lo ha definito “il più grande autogol dei populisti degli ultimi anni” e non ha torto: la destra era convinta di vincere, ma ha perso proprio perché ha abbracciato il sovranismo aggressivo di Donald Trump. Un modello che, nonostante le sue roboanti promesse, si sta dimostrando sempre più fallimentare. In Canada, la sinistra liberale  ha vinto non solo perché ha cambiato agenda – via la Carbon Tax, più attenzione alle imprese, meno tasse al ceto medio – ma soprattutto perché ha scelto di spostarsi verso il centro, conquistando quel bacino di moderati che, nei paesi democratici, continua a rappresentare il cuore pulsante dell’elettorato. È un segnale chiaro: le società mature e avanzate rifiutano le scorciatoie ideologiche e i proclami populisti. Preferiscono l’equilibrio, la competenza e il rispetto delle istituzioni.

Trump, il passato che non ritorna

Donald Trump, pur essendo stato rieletto alla Casa Bianca, non ha compreso una verità fondamentale: la Storia, nei paesi democratici, non torna mai davvero indietro. Gli Stati Uniti,  così come il Canada  sanno bene quali e quante sciagure hanno provocato i vari totalitarismi  nell’ Europa del Novecento: il fascismo, il comunismo e, ancor di più il nazismo. Quelle ferite sono ancora vive nella memoria collettiva. Ed è per questo che le democrazie occidentali, nonostante le difficoltà, le crisi, le paure, non vogliono ripetere gli errori del passato. Trump ha cercato di incarnare una nuova forma di autoritarismo populista, fatta di slogan aggressivi, nemici immaginari e continue provocazioni. Ma il tempo degli “uomini forti” che risolvono tutto da soli è finito. E i primi cento giorni del suo secondo mandato lo dimostrano: i sondaggi lo danno già in caduta libera; la fiducia dell’opinione pubblica sta crollando; cresce l’insofferenza verso una politica estera confusa e inconcludente. Le minacce alla Russia di Putin non hanno prodotto alcun effetto: il Cremlino non sembra affatto intimorito, mentre l’Europa guarda con crescente preoccupazione a un’America che appare più isolata che mai.


La rivincita della democrazia

Il voto canadese rappresenta, dunque, un primo e significativo segnale di inversione di tendenza. Di più: è una vera e propria rivincita morale e politica contro quel delirio di onnipotenza che aveva portato Trump, in uno dei suoi soliti momenti di esaltazione, a minacciare persino l’annessione del Canada. Una provocazione grottesca che ha ferito l’orgoglio di un popolo amico e democratico, ma che oggi trova la sua risposta più ferma e civile nelle urne. Il Canada non solo ha respinto la destra trumpiana:  ha riaffermato, in larghissima maggioranza,  i valori fondanti dell’Occidente. Ha detto no al nazionalismo, sì alla convivenza. No alla paura, sì al dialogo. No alla propaganda, sì alla responsabilità. È un messaggio che attraversa l’Atlantico e parla anche a noi europei: i populismi non sono imbattibili, le democrazie possono ancora vincere. Ma serve prudenza, visione e coraggio. Ma soprattutto, serve una nuova generazione di leader capaci di unire, non di dividere, di indicare una rotta più che minacciare sfracelli.  Il miracolo canadese può accadere anche da noi. L’Europa, a dispetto di quanti la vorrebbero debole e divisa, può sempre rinascere e sorprenderci. Proprio come  ha saputo fare in questi ultimi ottant’anni, garantendo la pace per tutti e, per molti, anche prosperità e benessere.

Michele Rutigliano

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