Tutto il mondo ha ascoltato la “vox populi” che si è levata forte dopo la scomparsa di Papa Francesco. Una voce composita in cui le note dei cristiani si sono accompagnate da quelle dei fedeli di altri credo e a quelle degli atei e degli agnostici. Una composizione multi religiosa, multi etnica, dai connotati variopinti. E forse sta proprio in questo la conferma di come il messaggio evangelico di Francesco sia stato, in ogni caso, recepito e considerato.
Per una volta tanto il vuoto delle chiese, soprattutto di quelle dei paesi occidentali, è stato soppiantato dal pieno delle piazze, delle strade e dei sagrati. Una risposta, insomma, ai cultori di un “popolo di Dio” ridotto a elemento statistico, ad un fatto numerico che nel numero dovrebbe trovare la risposta a tutte le risposte. Quel numero che, alla fine, definisce una Chiesa che rischia di ritrovarsi lontana da una ricerca di trascendenza che comunque c’è. In questi anni di pandemia, di guerre, di violenza, di mancanza di una certezza nel futuro, sentita è la domanda di pastori che sappiano porsi all’ascolto sulla base di quell’accoglienza, carità, perdono e fiducia che concorrono nel Messaggio evangelico ad arricchire la relazione con Dio Padre e, in qualche modo, ne confermano la sincerità, la coerenza e la ricchezza.
Non è solo con Francesco che si è posto il quesito di quale Chiesa. Un tema ricorrente, e più volte, nel corso dei secoli. Lo dimostrano le grandi figure di san Benedetto, san Francesco, santa Chiara, san Domenico e Ignazio di Loyola. Ma anche i concili. Lo ha fatto con forza il Vaticano II, il faro di Francesco, al pari di quello che è stato per i due Giovanni Paolo e Papa Ratzinger. Una questione rimasta aperta negli ultimi 60 anni. A maggior ragione per i velocissimi cambiamenti intervenuti nell’Umanità, nei suoi strumenti, nelle sue relazioni, nelle sue evoluzioni culturali. Questo è il vero tema dei Padri conciliari che si accingono a trovare il successore di Papa Bergoglio.
In questi giorni ascoltiamo tante voci. Avvertiamo come tutto ciò sia forte. A fronte della sollecitaziobe di taluni ambienti che tendono a restringere la Chiesa, soprattutto il suo nucleo dirigente, a partire dal Papa, nella dimensione della politica, degli interessi economico finanziari, ai giochi tra i potenti. Nonostante si sappia bene che il “potere” del Papa e della Chiesa non è omologabile e comprimibile in quello delle istituzioni e delle dinamiche di potere secolari, con cui comunque anche gli uomini di chiesa e i fedeli devono fare i conti.
Sappiamo tutti bene cosa Francesco abbia rappresentato per la vita della Chiesa, intesa nella sua globalità, soprattutto, di entità eminentemente religiosa e per alcune risposte chiare date a questioni irrisolte da tempo come quelle della sua organizzazione e gestione, ed anche dell’immagine. Inevitabilmente, le questioni di dottrina e di fede, hanno fatto parte, pure con Francesco, di quell’inevitabile confronto con il mondo che incalza e sfida il cattolicesimo, come tutte le altre religioni, sui temi della vita, delle relazioni umane, della famiglia. Su temi quali aborto, eutanasia, sessualità, Francesco non si è allontanato di un passo dalla continuità dell’insegnamento di tutti i suoi predecessori, checché ne abbiano detto i firmatari dei “dubia”. E il confronto con il mondo ci ha dato un Francesco continuatore del Pensiero sociale cattolico necessariamente arricchito dinanzi alla globalizzazione e delle finanziarizzazione dell’economia e della produzione, allo sfruttamento del lavoro, alle ricchezze sempre più in mano ai pochi. Mai come nel corso del suo Papato abbiamo avvertito l’impetuoso cammino della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche che ci misurano con nuovi scenari disegnati dall’ingegneria genetica e dall’Intelligenza artificiale. Proprio nel corso dei suoi 12 anni di pontificato abbiamo colto la forza di un punto di svolta, ma dagli esiti incerti ed imprevedibili per gli stessi fondamenti del nostro essere umani.
Papa Bergoglio ha risposto con coraggio, fermo sui principi e, al tempo stesso, aperto al bene che da tutto ciò potrebbe venire ad una Umanità, in maniera paradossale, ancora alle prese con problemi basilari come quelli della salute, della nutrizione, della disuguaglianza sociale e culturale, dell’attacco alla Natura, oltre che della mancanza di democrazia e del rispetto degli esseri umani in larga parte del globo terrestre.
Papa Francesco, assieme al suo continuo lavoro espresso attraverso importantissime encicliche ed interventi, oltre a gesti che hanno parlato più di tante parole, ha pensato ad una Chiesa che rispondesse a tutto ciò lungo due prospettive: la sinodalità interna, da un lato, e il richiamo ai fedeli a divenire attori diretti del proprio destino e di quello dei propri simili con la “Fratelli tutti”, dall’altro. E a questo riguardo è opportuno ricordare che egli è stato il primo pontefice a parlare in maniera particolate della “Politica” – quella con la P maiuscola- e cioè l’immischiarsi nelle cose piccole e grandi del mondo. Consapevole della sua missione eminentemente di pastore religioso, senza avere il timore di invadere una sfera non di sua competenza, perché il suo modo di farlo non era quello dell’intervento nella politica con la “p” minuscola.
Sinodalità e impegno nelle cose del mondo hanno fatto ripensare ai più giovani ai tempi del Concilio romano voluto da Giovanni XXIII. Perché entrambe queste questioni sono logicamente connesse perché partono, e portano, al riconoscimento pieno dell’impegno in una Chiesa che deve vedere tutti quali attori nell’opera di evangelizzazione e di testimonianza del Cristo. E Cristo parlava alle anime, ma nutriva e curava i corpi di chi quell’anima possedeva.
Storicamente, da due millenni, elementi di discussione, se non addirittura di divisione. Perché se le due facce della moneta di Cesare semplifica per alcuni versi la vita, per altri la rende più complicata se, come invece faceva Francesco, non se ne accetta umilmente la complessità. Ciò spiega tante resistenze, indecisioni, contraddizioni vissute dal Concilio in poi. E sarà forse questo il motivo per cui ad un giornalista che gli poneva interrogativi su svariati temi sul futuro di Santa Madre Ecclesia, Francesco ha risposto che ci penserà Giovanni XXIV. Consapevole egli che non poteva affrontare e, soprattutto, risolvere, tutte le questioni e le criticità che la Chiesa ha dinanzi da tempo.
Lui ha gettato un seme, ribadendo i “fondamentali” del cristianesimo, utilizzando anche opportunamente il linguaggio dei nostri tempo, riformando la Curia ed il suo metodo di lavoro, riportando lo Ior nel novero delle banche credibili ed affidabili, indicando la via della vicinanza con gli “ultimi” e mettendo in pratica la cura della distinzione del peccatore dal peccato.
Temi su cui esistono ancora difficoltà ad un pieno recepimento da parte di chi chiede, dopo Francesco, un impossibile ritorno al passato a dispetto della partecipazione popolare e dell’unanime cordoglio mondiale per la sua scomparsa.
Dal Conclave, anche attraverso la scelta del nuovo Pontefice, ma non solo – perché esso costituisce una importante occasione per i cardinali di confrontarsi sui problemi vitali della Chiesa e del mondo- ci si attende una risposta adeguata al livello della missione religiosa ed umana di Francesco.
Giancarlo Infante