La mitica diplomazia, tanto invocata, sembrava entrata in scena, seppur in tono minore e senza i protagonisti (né di primo né di secondo livello) delle due parti in guerra con l’inizio a Istanbul di trattative dirette tra Russia e Ucraina. Non sappiamo al momento che seguito avranno queste trattative, rapidamente concluse con un sostanziale nulla di fatto (a parte una nuova liberazione di prigionieri dalle due parti). Ma l’attesa del successivo colloquio diretto tra Trump e Putin lasciava qualche speranza di un possibile salto di qualità di un negoziato difficilissimo.
Non è andata così. Putin dopo il colloquio ha riconfermato pienamente la sua posizione che subordina ogni cessate il fuoco a una sorta di bozza di accordo di pace (oggi molto difficile da immaginare) e a quello che continua a chiamare il superamento delle “cause originarie del conflitto”. A sua volta Trump ha dichiarato che la telefonata è stata ottima, ma ha delegato alle due parti il compito di andare avanti (perché “conoscono i dettagli della guerra”!) e soprattutto ha segnalato che potrebbe tirarsi indietro dalla trattativa perché la guerra è un affare europeo e non americano. Ha persino passato la palla al povero Papa Leone XIV per aiutare a risolvere il conflitto.
Dove siamo allora? E’ chiaro, intanto, che la “diplomazia” è lasciata a Russia e Ucraina (e semmai al resto dell’Europa) mentre gli Stati Uniti guardano con fastidio e crescente distacco (fastidio che non sappiamo bene in che cosa si tradurrò sul piano delle azioni concrete) alla guerra in Ucraina. Ma la diplomazia russo-ucraina (cioè colloqui, scambi di idee e documenti) appare da oggi molto debole a incapace di sottrarre spazio alla guerra che continua in pieno ed esprime le vere posizioni negoziali delle due parti. Vediamole cominciando da Putin che, ricordiamolo sempre per chi preferisce spargere nebbia, ha iniziato questa guerra.
L’obiettivo massimo del leader russo, ripetutamente espresso a parole e con i fatti (fin dall’iniziale attacco a Kiev e al cuore del sistema politico ucraino), è soggiogare l’Ucraina riportandola in una condizione di vassallaggio politico (e spartizione territoriale). Da cosa è dettato questo obiettivo? Non dalla paura della espansione della NATO (che sicuramente non ha mire territoriali sulla Federazione russa ma solo scopi difensivi dei paesi che ad essa aderiscono), ma da un’altra paura e un’altra ambizione. La paura è quella che un’Ucraina pienamente indipendente si consolidi come democrazia liberale e avvii uno sviluppo economico di successo integrandosi sempre di più con l’Unione europea. Questo sarebbe un pericoloso “cattivo esempio” per la parte più modernizzante della popolazione russa che deve fare i conti con un regime politico sempre più assolutista e con una economia zoppicante e dominata dalla corrotta oligarchia degli amici di Putin.
L’ambizione, finalizzata al consolidamento del potere interno, è quella di ridare alla Russia lo status di potenza
mondiale e di riaffermare la sua piena influenza sul “vicinato”, in particolare quello di cui ha perso il controllo diretto con la crisi dell’Unione Sovietica. Poiché l’economia russa, per la sua arretratezza e debolezza, non è in grado di assecondare questa ambizione, spetta alla forza delle armi farla valere. Questi obiettivi restano fortemente presenti nella posizione russa (anche perché ad essi è probabilmente legata la sopravvivenza di Putin al potere), ma per essere raggiunti richiedono un collasso della difesa ucraina, finora sventato grazie alla combinazione tra l’inaspettata tenuta della società ucraina e al sostegno americano ed europeo.
La strategia bellico-negoziale preferita da Putin che ne consegue è allora quella del prolungamento delle ostilità sperando nel disimpegno americano (che ora sembra possibile) e nelle divisioni e stanchezze europee. Di fronte alla difficoltà di realizzare l’obiettivo massimo Putin potrebbe forse “accontentarsi” pro tempore delle cinque regioni che ha conquistato in toto (Crimea), o in parte (Luhansk, Donetsk, Zaporizhia, Kherson) cercando di completarne la presa e rinviando ad un secondo e più incerto tempo l’obiettivo massimo.
La posizione negoziale dell’Ucraina è ben diversa. L’obiettivo massimo è naturalmente quello di recuperare tutto il territorio nazionale, invaso dalla Russia contro tutte le leggi internazionali e i trattati intercorsi tra i due paesi, e di assicurare la piena indipendenza del paese e la sua libertà di associarsi a organizzazioni come l’Unione Europea e la NATO.
Poiché il recupero dei territori perduti appare oggi di quasi insormontabile difficoltà (soprattutto con le posizioni assunte dalla presidenza Trump), Zelenskyi ha lasciato capire che, se non accetterebbe mai il riconoscimento de iure delle conquiste russe, potrebbe, in via temporanea, accettarne de facto una parziale occupazione (sperabilmente ridotta rispetto alla situazione attuale). Aspetto cruciale per l’Ucraina rimane quello di non perdere il libero accesso al mare da Odessa (e quindi l’importanza di una smilitarizzazione almeno parziale della Crimea) e le città principali delle regioni invase dalla Russia. Garanzie ferree della sicurezza del paese rimangono, anzi diventano ancora più cruciali, in questa seconda linea negoziale che potrebbe non assumere la forma di un trattato di pace ma di un chiaro congelamento alla coreana della guerra. A quale di queste posizioni ci si possa avvicinare di più e con che prolungamenti (tragici) della guerra/diplomazia dipenderà da un lato dalla capacità di tenuta dell’Ucraina (e dagli appoggi esterni che otterrà) dall’altro dalle risorse che l’economia di guerra della Russia riuscirà a estrarre dal paese nei prossimi mesi e dai sacrifici che Putin riuscirà ad imporre alla sua popolazione. Difficile quindi che a breve si arrivi a uno stop della guerra
E l’Europa? E’ da oggi più sola nel fronteggiare scelte esistenziali di prima grandezza. Senza poter più delegare agli Stati Uniti la guida della propria sicurezza dovrà decidere se l’esito della guerra/diplomazia russo-ucraina è da considerarsi rilevante per un futuro assetto di pace e di libertà nel continente europeo (sembra difficile negarlo!) o se possiamo rifugiarci in un ruolo sempre più problematico di grande mercato disarmato (e aperto alle minacce dei “carnivori” vicini). Hic Rhodus hic salta! Un aiuto chiaro, concreto e sostenuto all’Ucraina nei prossimi mesi, senza tante manfrine tra “volenterosi” e “non volenterosi”, è la discriminante tra i due corni del dilemma. Tenendo presente che Putin non ha ancora vinto e che la possibilità di portarlo ad una posizione più ragionevole non è assente purché lo voglia una Unione Europea veramente unita e capace di far capire all’autocrate russo i costi della sua aggressione.
Maurizio Cotta