Un tempo, eravamo abituati ad attendere le decisioni dei “grandi della Terra”. Già sappiamo che il G7 aperto in Canada, si concluderà senza un comunicato finale. Le sette maggiori economie del mondo capitalistico appaiono smarrite di fronte all’evoluzione del contesto internazionale.

Già i temi dell’Ucraina e dei dazi avrebbero potuto portare ad un’inaudita simile decisione. Ma la guerra appena scoppiata tra Israele e Iran costringe, ancora di più, ad un silenzio piuttosto vergognoso.  Mentre invece, mai come ora, si dovrebbe ricevere la certezza di un qualche orientamento su di un disegno politico generale.

Netanyahu è riuscito nell’intento, sia pure in un modo francamente inaccettabile, d’imporre la propria agenda e, di fatto, di entrare a fare parte del con sesso di coloro che contano veramente. Interdicendone, però, ogni possibilità di giungere ad una decisione collegiale. In grande, insomma, si applica a tutto l’Occidente, almeno per i suoi principali paesi europei, ciò che deve subire Donald Trump.

È c’è da chiedersi quanto pesi la “debolezza” del Presidente americano in una fase cruciale per il mondo intero. Più di quanto accaduto a Joe Biden, Trump sembra davvero impossibilitato a raggiungere i suoi principali obiettivi. Quelli che gli chiedevano una buona parte del suo elettorato: basta con le guerre. Non solo quella d’Ucraina. A sentire Steve Bannon, e quelli del Maga (“Make America great again”, rifare grande l’America e, in particolare, rifarla grande sulla base dell’isolazionismo), Trump sbaglia a farsi tirare per il guinzaglio da Israele dimostrando così tutti i condizionamenti di cui soffre la società americana.

E c’è del clamoroso nella dichiarazione del Presidente Usa sulla possibilità che Vladimir Putin faccia il mediatore tra Israele ed Iran. Da un lato, c’è da considerare che verrebbe meno la postura ottantennale  da parte americana che ha sempre considerato il Medio Oriente e Israele come uno dei principali suoi “back yard” – il cortile di casa- ed ha sempre evitato con cura l’inserimento in quello scacchiere della Russia. Dall’altro lato, viene da chiedersi se Trump non preferisca passare la patata bollente a Mosca – e, intanto, mostrando anche un ramoscello d’ulivo alla Cina, la prima a condannare l’attacco israeliano e abbastanza dipendente dal petrolio iraniano- a fronte dei soverchianti interessi messi in campo da Netanyahu che il Presidente statunitense non riesce, evidentemente, a contenere. Non manca neppure chi vede nel gioco Putin Trump uno scambio destinato a lasciare al russo mano libera in Ucraina e lo stesso a Netanyahu in Medio Oriente. Comunque, l’immagine degli USA, e del suo Presidente, sembra uscirne al momento indebolita.

Sarà forse per questo se la voce popolare americana si è fatta sentire tanto forte, come accaduto nelle scorse ore, a pochissimi mesi dalla elezione del Presidente. E, nonostante, i democratici siano parsi sinora, almeno fino alla vigorosa posizione del Governatore della California, Gavin Newson, davvero  incapaci ad organizzare un’alternativa politica in grado di andare oltre i giochi tradizionali nei corridoi di Capitol Hill, come sta accadendo in occasione del voto sul Bilancio federale.

Se questa è la condizione dei rapporti di forza di Israele con gli USA, figurarsi quella con gli europei. Disorientati dal conflitto mediorientale, male informati o, addirittura, è il caso dell’Italia, avvertiti solo a cose fatte. Come hanno dimostrato le dichiarazioni dei nostri governanti che escludevano un attacco preventivo israeliano fino allo stesso giorno dei bombardamenti. Adesso ripiegano sulla tesi  che l’Iran sia, a breve, in grado di dotarsi di 10 ordigni nucleari. Sarà forse così, ma non si può non rimandare alla memoria le famose “armi di distruzione di massa” che Saddam Hussein, in realtà, non possedeva.

In ogni caso, come già sottolineato ieri (CLICCA QUI), la politica latita. Non solo in casa nostra. Ma anche – ahinoi – a livello europeo; perfino a quello americano. E poi continuiamo a piangerci addosso sulla fine dell’Occidente.

Giancarlo Infante 

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