Chi sostiene che un primo venticello autunnale sia cominciando a soffiare sulla stagione, che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, di grande eccitazione per l’Intelligenza Artificiale, e che un nuovo periodo di rallentamento si stia delineando nel processo di crescita – sin dall’inizio caratterizzato da ripetuti stop and go – e di diversificazione di questo importantissimo settore del progresso tecnologico, avrebbe dovuto vedere la folla che si accalcava davanti al lussuoso e al tempo stesso sofisticato locale dove si festeggiava l’inaugurazione dell’ufficio parigino della OpenAI.

Anche se si era osservata una severa discrezione su dove questo evento avrebbe avuto luogo, così come era stato tenuto molto sotto tono il particolare che si trattava del nono ufficio che la società di San Francisco apriva fuori dal suo territorio originario, l’intera Parigi che conta era sul posto. E nutritissima era anche la rappresentanza della comunità internazionale – in cui però gli Italiani brillavano solo per loro scarsa presenza – che poco o per nulla nascondeva una certa soddisfazione che l’ufficio di Parigi venisse aperto prima di quello di Bruxelles, che è atteso entro la fine dell’anno.

In aggiunta agli “headquarters” già esistenti di San Francisco, Londra, Dublino e Tokyo, la “start up” (!!!) guidata da Sam Altman sta, infatti, aprendo uffici a New York, Seattle, Singapore, e appunto Parigi e Bruxelles, nel quadro di un evidente strategia di espansione globale, e di affermazione come protagonista – se non di unico vero concorrente occidentale – dell’avventuroso tentativo di dar vita alla AGI, l’Artificial General Intelligence.

Una serata particolare

Il glamour e l’eccitazione che hanno caratterizzato la cerimonia sono stati a dir poco eccezionali. E cosa di meno ci si poteva del resto attendere per lo sbarco nella Ville Lumière di un’azienda il cui prodotto più conosciuto, ChatGPT ha contato in novembre 250 milioni di utilizzatori a settimana, 50 milioni in più di quelli registrati a fine agosto?

E cosa di meno ci si poteva aspettare per una società i cui specialisti lavorano ormai all’offerta al pubblico di un modello di AI agenziale, di un’IA che decide da sé? Con questo brutto anglicismo, infatti, in Italiano ci si riferisce a sistemi di Intelligenza Artificiale che possiedono un certo grado di autonomia e possono agire da soli per raggiungere obiettivi specifici. A differenza dei modelli di IA tradizionali, che si limitano a rispondere a richieste o a eseguire operazioni predefinite, l’IA agenziale può infatti prendere decisioni, pianificare azioni e ovviamente imparare dalle proprie esperienze. Il tutto, però, per perseguire obiettivi che, almeno per il momento, sono ancora stabiliti dai suoi creatori umani.

Parigi nella corsa alla AI

Altman, pur non essendo presente ai festeggiamenti non ha nascosto le ambizioni che potrebbero essere fatte proprie dalla sede francese, “la prima nell’Europa continentale”, della società di cui è Chief Executive Officer. Né è stato parco di elogi nei confronti del partner transalpino. “La Francia è riconosciuta a livello mondiale per la sua capacità innovativa e per la sua leadership nella tecnologia e nell’intelligenza artificiale”, aveva affermato il fondatore di OpenAI in un precedente comunicato stampa. “Siamo entusiasti di aprire un ufficio a Parigi e di far parte del suo vivace ecosistema. Con un team sul posto, potremo lavorare a stretto contatto con aziende, istituzioni e sviluppatori francesi per aiutarli a sfruttare appieno i vantaggi dell’intelligenza artificiale.»

L’apertura di una sede nella capitale francese – che le autorità parigine saggiamente favoriscono – è un passo di grande importanza per la proiezione mondiale delle aziende del big-tech americano. E non da oggi.

Così Google, lanciata ufficialmente a Menlo Park, California, il 4 settembre 1998 da Larry Page e Sergey Brin per commercializzare Google Search, il motore di ricerca più usato sul web, ha dapprima – nel 2004 – aperto a Parigi una presenza commerciale poi – nel 2011 – trasformata in una sorta di headquarter per l’Europa continentale, ed infine – nel 2018 – un laboratorio sull’ Intelligenza Artificiale, trasferito di recente in una sede dotata di nuove e più sofisticate attrezzature tecniche.

E analogamente, Netflix, da lungo tempo presente nei Paesi Bassi, ha dal canto suo aperto una sede parigina nel 2018, poi ha cominciato a produrre anche in Francia, ed ha aperto un importante ufficio nel 2020.

L’attrazione dell’Oriente

A ben guardare al di là delle luci di Parigi, tuttavia, è nella un tempo esotica penisola malese che la presenza globale di OpenAI appare maggiormente impegnata, e assume un carattere diverso e chiaramente strategico. Oltre a disporre di un proprio headquarter nella (relativamente) piccola, ma iperattiva città-stato, OpenAI ha instaurato un rapporto di collaborazione con AI Singapore, una struttura preesistente e a carattere fortemente pubblico. Il fine di Sam Altman, in questo caso, è infatti più ambizioso; quello di espandere in tutto il Sud-Est asiatico la tecnologia dell’azienda che a lui ha affidato – ed anche tumultuosamente confermato – il compito di tradurre in atto le proprie grandi ambizioni nel campo dell’Intelligenza Artificiale. AI Singapore, avviato nel 2017 dalla National Research Foundation (NRF), è infatti un programma nazionale a carattere ufficiale per sostenere le aziende e le organizzazioni di ricerca di Singapore nello sviluppo tecnologico e nello sfruttamento economico dell’intelligenza artificiale.

Il CEO di OpenAI non ha perciò mancato di mettere in luce come “Singapore, con la sua ricca storia di innovazione tecnologica, sia emersa come leader anche nel campo dell’intelligenza artificiale, valorizzando il proprio potenziale per risolvere alcuni dei problemi più difficili della società e promuovere la prosperità economica…….. Siamo entusiasti di collaborare con il governo e il fiorente ecosistema di intelligenza artificiale di questo Paese, mentre ci espandiamo nei paesi asiatici e del Pacifico”

La AI nell’Ordine mondiale

La moltiplicazione dei quartieri generali di OpenAI in tutto il mondo è quindi esplicitamente indicata come la prova affidabile offerta ai suoi partner attuali –  soprattutto futuri – dell’intenzione di Sam Alman e della sua “start-up” ormai valutata circa 160 miliardi di dollari, di imprimere una vera è propria global foot print, cioè di porre le basi per un suo dominio al livello mondiale.

Ed è una strategia assai significativa, quella di OpenAI e di Sam Altman, il suo CEO ormai rimasto solo – dopo gli scontri con Elon Musk, e la diaspora pressoché totale dei suoi partners – alla guida con poteri quasi assoluti della straordinaria azienda di Silicon Valley. Una strategia che, in una certa misura, si pone in maniera cruciale nella ricerca di una risposta ad un quesito che è ormai diventato di rilevanza più che storica, addirittura esistenziale. Il quesito “Tiene ancora l’ordine unipolare a guida occidentale?”. Cioè in risposta alla difficile domanda che verrà posta ad un articolato gruppo di esperti, Mercoledì prossimo, 4 dicembre 2024, nella serata inaugurale della Fiera del libro di Roma, nella Nuvola di Massimiliano Fuksas.

Del “momento unipolare”, molto si parlò all’indomani del crollo del muro di Berlino, e ancor più dopo il dissolvimento del blocco comunista, quando tutte le carte della politica mondiale sembravano essere nelle mani degli Stati Uniti. Ma quell’atmosfera si è da lungo tempo dissolta. Sia – dopo uno straordinario trentennio di globalizzazione – per l’evoluzione successiva dei due protagonisti della fase bipolare che aveva caratterizzato il periodo 1945-1980, l’America e la Russia. Sia per l’emergere di un nuovo co-protagonista: la Cina.

Il quinto – decisivo- fattore

La crisi sociale e politica che gli Stati uniti stanno attraversando da almeno quindici anni è sotto gli occhi di tutti. Così come impressionante appare il cambio di statura e di status conseguente all’ascesa economica della Cina. Eppure la questione di quale sarà l’area culturale che influenzerà e modellerà l’ordine mondiale in un futuro ormai assai prossimo rimane intatta, e drammaticamente urgente. Sarà l’area culturale cui afferiscono gli Stati Uniti e l’Europa? Oppure sarà quella – antichissima e per molti aspetti modernissima – di cui fanno parte tanto Singapore quanto la Cina?

A sciogliere il dilemma saranno – in misure diverse, ed allo stato poco prevedibili – vari e decisivi fattori. Fattori legati all’economia, all’evoluzione del contratto sociale in ciascuna di queste aree, alla natura e alla forma che assumerà il potere in ciascun àmbito culturale, ed indubbiamente anche fattori militari. Ma, anche se gli ostacoli non mancano – e se ne potrebbero citare almeno quattro –, è altrettanto possibile, anzi probabile, che un ruolo assai rilevante sarà quello degli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, che non per caso si trova al centro di tanta eccitazione, tante aspettative, tanti timori, e non poca angoscia.

GiuseppeSacco

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