La politica, soprattutto questa della cosiddetta Seconda repubblica, non vuole complicazioni più di tanto. Ovviamente, non pensiamo a quella che, invece, si crea quasi tutti giorni da sola. Tra leggi scritte male, lotte fino all’ultimo sangue di tutti contro tutti, e di vicende davvero poco commendevoli non limitate ai quadri locali, ma che salgono su su per li rami fino alle principali stanze del potere romano. Mi riferisco alle complicazioni del pensiero, dell’analisi e della successiva costruzione di un progetto “esistenziale” politico.
Il mondo della comunicazione si regola di conseguenza e sguazza nella semplificazione. Gode e persino partecipa a questo immiserimento che, giacché riguarda direttamente il personale politico impegnato, sembra andare oltre il recinto della politica e assumere una dimensione antropologica: tanto è lo scambio di “qualità” che si realizza tra gli attori delle nostre istituzioni, l’informazione e il popolo comune.
Come abbiamo già scritto, tanta semplificazione riguarda pure la questione dell’impegno politico dei cattolici. Abbiamo profuso fiumi d’inchiostro sull’improprietà dell’uso di questo termine. Noi, infatti, legati a quella cultura che viene da lontano e che, dal Rosmini in avanti, ha macinato tanto, ci riferiamo sempre a una politica basata sulla “ispirazione cristiana”, che è tutt’altra cosa.
Guardando a vicende storiche effettivamente vissute, e gloriosamente, parliamo di popolarismo e di cristianesimo democratico. Perché ciò definisce abbastanza bene il tutto. A partire dall’assunto del riconoscimento che il cosiddetto “mondo cattolico” è sempre stato pluralista e molto articolato. Ed è per questo se, salvo marginali e caduche esperienze, in tutta l’Europa non vi è mai stato un “partito cattolico”.
D’altro canto, le vicende post unitarie, dopo la presa di Porta Pia, dopo la Prima Guerra mondiale e dopo la Seconda, hanno portato alla nascita, prima, del Partito popolare di Sturzo e, poi, alla Dc di De Gasperi. Proprio perché si era progressivamente diffuso, e spontaneamente, un sentimento politico che portava larghe masse, nelle campagne, come nelle città, all’organizzarsi attorno ad una cultura politica, ad una pratica visione della gestione della cosa pubblica, autonoma, alternativa e diversa, rispetto a quelle che nel ‘900 sono state le due contrapposte interpretazioni della società e dell’uomo: il liberalismo con il suo capitalismo, e il marxismo con il suo collettivismo. Entrambe carenti di quello che il popolarismo implica, e cioè i concetti di solidarietà e di Persona, intesa nella sua complessità materiale e metafisica.
Il dibattito di questi giorni, che sta riempiendo pagine e pagine di giornali sembra essere assente proprio di queste considerazioni e finisce per confermare una mancanza di valutazione e di rispetto per una parte della società che non si ritrova nell’ingabbiamento e nella semplificazione. Perché non ha paura di confrontarsi con la complessità di un mondo in continua evoluzione e che ha, quindi, bisogno di una mentalità non ideologica e non schematica.
Sia a destra, sia a sinistra, si insegue da sempre il voto “cattolico”. Confondendo spesso le buone relazioni con alcuni esponenti di quell’ambiente con la certezza di ricevere quei voti. I quali, invece, seguono, come hanno sempre seguito, le stesse dinamiche di tutti gli elettori che guardano, come hanno sempre guardato, ai loro legittimi interessi, ad una vita di sviluppo e di pace, a politiche realiste ed efficaci.
E questo vale a destra come a sinistra. Non è un caso se si riduce sempre più il numero dei votanti. E sappiamo bene come tra molti degli astenuti vi siano moltissimi che non esitano a dirsi cattolici. Neppure la destra ha effettivamente sfondato in questa direzione, salvo il ricevere il sostegno di gruppi di nostalgici illusi di tornare ad un mondo ordinabile, o persino a una fede, “opus legis”. Quelli, insomma, che si sono lasciati incantare dal “Dio, Patria e famiglia” di Giorgia Meloni o dal Salvini che usava baciare i rosari. Mentre vediamo bene come questa loro maggioranza in oltre due anni di promesse ed ammiccamenti abbia del tutto trascurato famiglie, natalità ed educazione, salvo sparate retoriche di poco conto.
A sinistra, pensavano di aver risolto tutto con quella che è diventata nel tempo una confluenza tra due culture politiche in crisi dopo la fine della Prima repubblica. Come abbiamo scritto spesso su queste pagine, il Pd è stato il frutto di una illusoria “fusione”. Illusione favorita dalla doppia vittoria registrata da Romano Prodi ai danni di Silvio Berlusconi. Ma in realtà, oltre quello, non c’è stato molto che potesse continuare a portare per sempre una partecipazione da parte di molti cattolici. Che, invece, si sono progressivamente staccati dal centrosinistra, ma senza per questo andare ad infoltire le fila del campo opposto.
Non sembra che il Pd di Elly Schlein, animata da un intento rinnovatore che appare frutto di tante buone intenzioni, abbia capito la portata del fenomeno di cui stiamo parlando, né abbia capito quelli che ne parlano in vario modo. Eppure, anche recenti esperienze regionali e locali avrebbero potuto aprirle gli occhi. E mi riferisco alle già più volte citate della Sardegna e dell’Umbria dove non hanno certo vinto gli apparati locali del Partito democratico. Di converso, a quel che sappiamo, Andrea Orlando ha perso per un soffio in Liguria perché gli è stato precluso di tradurre in pratica una politica di apertura ad altre voci, gruppi e movimenti.
Anche a fronte del sistema bipolare, ed annessa Legge elettorale, indispensabile per mantenerlo in piedi, e a fronte della conseguente “militarizzazione” dei due campi contrapposti, esiste una spinta che è propria della società civile verso l’emersione di una entità autonoma, il più possibile alternativa alla destra come alla sinistra.
Non solo loro, ma molti cattolici a questo guardano perché, pur non escludendo affatto la possibilità di ritrovarsi un giorno a dover ragionare sulla partecipazione ad una coalizione, sanno bene di quel che specificamente ed autonomamente sono in grado di rappresentare nel proporre al Paese ad un’altra idea della Politica e degli esseri umani che con essa devono fare i conti senza essere ridotti solamente ad acritici sostenitori del “centro” e del moderatismo.
Giancarlo Infante