Uno dei campi qualificanti, e di intervento concreto, del popolarismo europeo, già a partire dalla seconda metà dell’800, in particolare in Germania, fu quello della creazione delle Cooperative, di piccole banche locali e, poi, delle Casse di risparmio che concepivano una presenza bancaria e finanziaria caratterizzata da una giustificazione sociale e di mutuo soccorso.
Questo avvenne anche in Italia. E spiega la nascita e lo sviluppo, in taluni casi dell’enorme rilievo, di entità economiche espressione del mondo cattolico che, però, con l’innamoramento per il “gigantismo bancario” sono state portate alla pressoché totale distruzione con quel grande patrimonio rappresentato da banche di medie e piccole dimensioni di grande prossimità con la realtà locale, a partire dalla piccola impresa. La stessa sorte è recentemente toccata nel campo assicurativo alla Cattolica che, praticamente, non esiste più nei termini in cui era stata pensata e costruita nei decenni da diocesi e dal popolo cattolico del Veneto.
Una distruzione resa possibile anche dalla cecità di talune realtà ecclesiali, in taluni casi, proprietarie di banche, assicurazioni ed altro, o che sono finite vittime della logica del “capitalismo rampante” che ha smarrito per strada l’eticità della responsabilità sociale. Resta nella memoria il vero e proprio scontro che l’allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, ebbe con mons Marchinkus, a capo dello Ior, intenzionato a smantellare il sistema delle banche cattoliche venete.
Siamo dinanzi ad una delle più grandi sconfitte del popolarismo in Italia in una grande battaglia che fu, assieme, economica, sociale e “politica”. E questo costituisce sicuramente uno di quei tasselli che spiegano perché, a differenza dell’Italia, in Germania e nella Baviera restino grandi partiti popolari s’ispirazione cristiana.
Ai nostri giorni, la questione della tassazione degli extraprofitti delle banche e degli istituti finanziari, cui vanno aggiunte le assicurazioni e molti grandi società fornitrici di servizi, quelle cioè che hanno accumulato negli anni scorsi sproporzionate ricchezze aggiuntive, richiama la questione di una visione popolare dell’economia e della finanza.
E purtroppo dobbiamo assistere al paradosso che, mentre alcuni settori di destra provano a rimettere sul tavolo la questione della tassazione degli extraprofitti, si oppone proprio un partito come Forza Italia, parte italiana del Partito popolare europeo. E all’insegna dell’ipotesi alternativa di una sorta di qualche “convincimento” garbato da mettere in campo perché qualcuno dei piani alti di quelle banche e di quelle società si decida a versare qualcosa nelle Casse dello Stato, altrimenti non in grado di far pensare se non a qualche bonus e “mancetta” da destinare ai gruppi sociali più disagiati.
Casse degli italiani che, negli ultimi vent’anni, ma anche prima, di esplosione delle bolle speculative, cattivi investimenti, vere e proprie truffe combinate a danni dei risparmiatori, sono dovute intervenire a colpi di tanti miliardi per salvare istituti di ogni dimensione dal collasso. E, intanto, i loro grandi azionisti scoprivano che il “pubblico” va bene quando devono prendere, ma quando devono dare, sia pure molto poco, si appellano al mercato.
Agli amici di Forza Italia, in considerazione delle condizioni del Paese, dobbiamo dire con chiarezza che non vediamo il loro popolarismo. Tutto al più di quel “conservatorismo compassionevole” proprio della vecchia tradizione del Partito repubblicano americano che ha trovato nel giovane Bush l’ultimo esponente. Un conservatorismo compassionevole che, però, ha mostrato tutta la sua volatilità per lasciare campo a ben altre vocazioni economiche e politiche del “trumpismo” il quale, non a caso, viene sostenuto da molti del “nuovi ricchi”… quelli degli extraprofitti.