La prima parte di questo intervento è stata pubblicata ieri (CLICCA QUI)

Dentro la Resistenza: la scoperta delle “armi della pace” contro il  nichilismo dei “poteri totali”

Se non è garantita una vittoria finale, avevamo scritto sopra, che senso ha, nella Resistenza, opporsi a chi è più forte? Che senso può avere, in una guerra, affrontare l’alea  della lotta contro chi già si sa che è più forte e contro cui non abbiamo garanzia alcuna di vittoria finale ?   “Bisogna obbedire a chi detiene il potere. Il fare cose superiori alle nostre possibilità non  ha alcun senso”, dice  “saggiamente” la sorella Ismene  ad  Antigone che sfida il potere di Creonte, nella nota tragedia di Sofocle. Più cinicamente i generali ateniesi decritti da Tucidide nelle sue Storie  “consigliano”   agli abitanti dell’isola di  Melo di sottomettersi a Atene soltanto perché più deboli.

E’ così. Il fare cose impossibili non ha alcun senso razionale. Ha però talvolta un senso morale profondo.  Resistere può significare mettere in gioco, accanto alla forza materiale e, ancor prima di essa, la forza morale della speranza, una forza morale, è vero, ma  che può anche finire per  avere  un impatto materiale decisivo, quando essa  assume una scala di massa, nelle relazioni tra i popoli ed anche all’interno dei popoli. Che può finire col rendere forte ciò che all’inizio è giusto, ma più debole. Alla faccia dei sedicenti “realisti” della politica, di coloro che pongono la nota domanda, non è chiaro se  più idiota o più arrogante,   “Ma quante divisioni ha il Papa di Roma ?”. E’ raro, rarissimo, ma talvolta succede, che i popoli pacificamente, senza torcere un capello  ad alcuno, trovino la forza persino di rovesciare i più arroganti e più potenti  sistemi politici. Abbiamo potuto toccarlo con mano nella Polonia del 1980 e nell’ Europa del 1989.

Il presunto “realismo” di chi detiene un potere assoluto infatti acceca il potente, non solo di fronte al “senza potere” che egli imprigiona, tortura o massacra senza remore, ma anche di fronte alla realtà, che non riesce più a discernere, dato che essa è da lui ridotta a nulla. Il potente infatti ha persino cessato di considerare plausibile l’ esistenza di una verità oggettiva indipendente dal suo volere e potere, o meglio dal potere delle tecnologie “intelligenti” di cui solo egli dispone.

Quid est veritas? ( Che cosa è la verità?)  dice ironicamente e cinicamente Pilato di fronte a Gesù di Nazareth, nel testo evangelico. La verità è considerata un nulla dal potere dispotico, una cosa che il potere stesso è sempre capace di “creare”a suo piacimento ( ovviamente  senza poter poi evitare le conseguenze che portano alla disfatta- basta pensare alle  “guerre impossibili” che Mussolini crede di vincere dal 1941  in poi dalla Grecia alla Russia, o anche  alle possibili guerre a colpi di “dazio” scatenate da nuovi tiranni contro il “resto del mondo”).

Il vero “realismo” allora è quello di chi si oppone al potere assoluto, di chi gli RESISTE,  avendo ben chiara  la verità oggettiva delle cose, che il “senza potere” riconosce facilmente perché non ha alcuna possibilità di alterare. Le lettere dei condannati a morte della Resistenza europea descrivono perfettamente e realisticamente, vorrei aggiungere, il senso morale della scelta resistenziale, la speranza in essa contenuta, le “armi morali” della pace, senza facili illusioni, senza tentativi auto-consolatori, e senza negare mai la durezza della realtà con cui ci si scontra.

Salvare una vita è salvare l’umanità come nel noto detto talmudico.  E quindi salvare anche una sola vita è negare o quanto meno smascherare la disumanità ( e l’ “irrealtà”) del potere dispiegato dalla guerra totale. Come mostrano le scelte di persone come Salvo d’ Acquisto,  Padre Maksimilian Kolbe e tantissimi altri  nell’offrire la loro vita in cambio di un’altra, o nel contrapporre all’assurdità nichilista dell’odio la realtà indistruttibile dell’amore, come testimoniò Don Aldo Mei. Come probabilmente avranno avvertito anche  i nazisti che, quando sentirono l’avvicinarsi della disfatta, reagirono  con  rappresaglie sempre più feroci- da Marzabotto a Sant’ Anna di Stazzema-  per tentare di controllare attraverso il terrore di massa ciò che non riuscivano più a controllare con la guerra ordinaria. (Segue)

Umberto Baldocchi

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