E’ proprio vero che spesso i politici tolgono il mestiere ai comici. Soprattutto quando, a fronte di una disistima generalizzata, vogliono esaltare le proprie gesta e finiscono per vendere merce non propria.
Ogni tanto ci casca pure Giorgia Meloni che, evidentemente, si deve dire da sola quello che spetterebbe ad altri dire. E non solo dai suoi fanatici sostenitori che, in questo, sembrano battere pure ciò che fu ai tempi di Silvio Berlusconi il quale, però, aveva tutto un altro senso dell’ironia ed anche dell’autoironia.
Ieri la Presidente del consiglio ha sentito il bisogno di ricordarci che, allo scoccare della mezzanotte, il suo era diventato il governo più longevo della Repubblica: “Esattamente – ha detto- oggi il nostro governo entra nella lista dei primi cinque governi più duraturi della storia della Repubblica Italiana. In 79 anni di storia repubblicana, pensate, l’Italia ha avuto ben 68 governi. Noi oggi siamo al quinto posto per durata. Significa in pratica che abbiamo risalito 63 posizioni in circa 127 settimane di governo. È un risultato che voglio condividere con voi innanzitutto per ringraziare i tanti cittadini che continuano a sostenerci e che ci danno la forza per andare avanti con determinazione”. Non abbiamo potuto fare a meno di immaginarcela come un “girino” o un ciclista del Tour che si risale tutto il gruppo a forza di pedalate.
“Abbiamo ancora il consenso della maggioranza dei cittadini e la maggioranza è ancora coesa”, ha aggiunto. Ma se è comprensibile la propria autoesaltazione per il record di longevità battuto a Palazzo Chigi in un momento di grande difficoltà interna ed internazionale, molto più opinabile è questa sua affermazione. A conferma che, come hanno finito per fare molti in quel palazzo, si finisce per perdere il senso della misura e della realtà. E questo nonostante che uno come Matteo Renzi, che la cosa l’ha vissuta in precedenza, glielo stia ricordando sempre più frequentemente. E lui sa bene cosa significhi essere portato su, su, sempre più su dai sondaggi e precipitare dalla sera alla mattina come gli successe con lo sciagurato referendum che prevedeva l’abolizione del Senato.
La realtà dei numeri dovrebbe invitare Giorgia Meloni a considerare bene cosa significhi la “maggioranza dei cittadini”. E per due motivi. Il primo, perché i suoi Fratelli d’Italia hanno raccolto nelle urne poco più del 15% reale dei consensi. Ed è quello che le stanno confermando i continui sondaggi che ci inondano. Insomma, per dirla con un vecchio criterio: si è fermata la spinta propulsiva. Il secondo, è perché in tutte le importanti votazioni delle ultime regioni le ha perse quasi tutte. Ad eccezione della Liguria, cosa per la quale deve ringraziare l’errore della Schlein di imporre al candidato Orlando di non aprire a due piccole liste mancando i voti delle quali il Pd ha perso per una sola manciata di consensi.
Ma non è solamente questione di numeri. Il punto di fondo è che la quantità degli anni di durata non ha niente a che fare con la qualità di un governo. E un lungo elenco di contraddizioni, errori, rinnegamento di promesse elettorali, incapacità – è di queste ore la riproposizione del “mistero” che circonda il Pnrr, la più grande occasione di sviluppo per l’Italia dopo quella degli anni ’50 – fa da controcanto all’autoesaltazione.
Se poi, ma certo in incognito, e senza portarsi dietro la “claque”, se ne andasse in giro per mercati, nei centri per anziani, su alcuni luoghi di lavoro, negli asili che non ci sono, scoprirebbe che significhi questa reclamata “maggioranza dei cittadini”.
Infine, sulla “maggioranza coesa”, si rischia davvero il ridicolo anche solo starla a commentare. A meno che non si accetta che la politica è fatta davvero solo da comici.