Il 1989 può essere preso quale punto di svolta nello scenario dell’Europa Occidentale di allora. Il crollo del blocco sovietico, simboleggiato dalla caduta del Muro di Berlino, determinò nelle economie occidentali la perdita di potere del settore pubblico a vantaggio del libero mercato.  In Europa, come anche in Usa, vennero attuate politiche neoliberiste su larga scala, soprattutto  nel settore finanziario. Quest’ultimo, negli anni novanta, manifestò una crescita notevole, anche grazie alle politiche governative favorevoli ad una finanziarizzazione dell’economia, aiutate dalla tecnologia informatica applicata alle transazioni  finanziare. Veniva definitivamente abbandonato il tradizionale modello basato sui depositi per concentrare l’attività bancaria nella gestione speculativa  della liquidità prodotta dal sistema. Il risultato fu una notevole espansione dei profitti.

La conseguenza più evidente è stata che l’industria manifatturiera perdeva il primato della redditività degli investimenti a favore della finanza.

Questo importante sviluppo del modello economico avvenne in un contesto di produzione industriale molto più elevata rispetto al passato. Il reddito pro capite crebbe a ritmi mai registrati prima; soprattutto negli anni novanta e almeno fino alla crisi del 2008.

Nonostante il nuovo benessere economico, si diffuse nell’ Europa Occidentale il malcontento sociale. L’illusione di una crescita infinita aveva creato aspettative irrealistiche ; specificatamente, la redistribuzione dei profitti fu a vantaggio delle élites soprattutto finanziarie, che hanno beneficiato della finanza speculativa. Come già sottolineato,con la caduta del blocco sovietico sono state enfatizzatedalle élites economiche e finanziarie le virtù del libero mercato, ridimensionando il ruolo pubblico.

In aggiunta, ci fu l’effetto Cina ad indebolire la fiducia nella globalizzazione gestita dall’Occidente. Il commercio cinese nel mondo ebbe un grande sviluppo; nel 2001 la Cina copriva il 4% circa dell’export mondiale, nel 2010 la quota attribuibile alla Cina era cresciuta al 10% circa. In altri termini, la Cina si era imposta quale fornitore mondiale di beni a basso costo , tutto a danno  della manifattura occidentale per i  molti posti di lavoro persi.

Gli Europei videro venir meno, così, i punti di riferimento del loro consenso politico e sociale alle democrazie liberali e democratiche; specificatamente, è entrato in crisi il modello calvinista sul dovere dell’accumulazione del profitto. Il modello neoliberista ha promosso, infatti, una iniqua redistribuzione dei profitti a favore del fattore Capitale, a danno dei lavoratori.

In sintesi, la crescita economica ha portato con sé instabilità sociale e , in questi ultimi anni, conflitti geopolitici.

L’Europa, dunque, ha al centro della sua” governance” l’inderogabile soluzione della crisi del liberalismo europeo. Il suo perseguimento ha arrecato molti benefici: ha diffuso ricchezza, ha allungato l’aspettativa di vita, è stata diffusa nei territori l’innovazione informatica. Tuttavia, la sfiducia nei valori tradizionali e il malcontento per le disuguaglianze sociali impongono una  trasformazione della struttura del modello di sviluppo, in particolare quella riguardante il mercato del lavoro.

Inoltre, con la crescita della Cina a potenza mondiale , è venuta meno la leadership  globale degli Usa; la prospettiva, anche alla luce della politica trumpiana, è di uno scenario multipolare: la politica statunitense dei dazi contribuisce al restringimento dei mercati di sbocco delle merci e , quindi, favorisce una regionalizzazione delle catene del valore, che avevano, invece, acquisito una dimensione globale. Diventa urgente una analisi e revisione radicale del processo di globalizzazione, che ha prodotto, invero, benessere, ma anche inquinamento climatico e malcontento sociale.

Per effetto dei cambiamenti in atto nella divisione internazionale della produzione e del lavoro, gli Europei , quindi, si trovano nel mezzo del venir meno della fiducia nei valori tradizionali , che hanno orientato e gestito lo sviluppo economico e sociale dell’Europa moderna.

I processi descritti avvengono in contemporanea con un notevole sviluppo tecnologico, nei confronti del quale l’Unione Europea mostra molti limiti strutturali. La spesa totale in R&S , negli anni venti, è stata nell’UE mediamente pari al 2,3% del PIL ( in Italia è del 1,4% ), mentre negli Usa è ammontata al 3,4%. Il dato è ancora più preoccupante se viene esaminato nella sua composizione merceologica: gli investimenti nel digitale, in specie nell’intelligenza artificiale, mostrano un importante ritardo rispetto agli Usa e alla Cina. Questo gap tecnologico condiziona il livello di produttività raggiungibile dai paesi UE , mentre l’investimento nelle conoscenze tecnologiche è strategico per la competitività del sistema produttivo europeo.

Inoltre, il ritardo tecnologico è aggravato dalle insufficienti politiche in materia di istruzione-formazione-educazione. Tutto ciò aggrava la debolezza economica europea, e mette in risalto i limiti delle politiche industriali dei singoli paesi della UE.

Alcune linee, dunque, da seguire per colmare i ritardi e ridare competitività al sistema: politica europea della ricerca per una rete integrata di centri di R&S; un centro europeo di alta formazione alle tecnologie digitali;integrazione del mercato dei capitali , eliminando le barriere nazionali , per favorire il “venture capital” nel campo delle tecnologie ad alto rischio e per l’emissione di “ debito comune”; introdurre un’unica scuola di base (anni 6-13 ) in tutti i Paesi europei,  fondamenta per un’EU veramente unita, prima azione per un sistema educativo unico.

Necessita, perciò, dall’UE una politica industriale molto attiva e trasformatrice delle obsolete strutture di un’economia non più competitiva. I 27 Paesi membri dell’UE sono in grado di affrontare con successo una sfida così ardua e complessa? Il dubbio è grande. Perché non cominciare a pensare alla creazione di una ”locomotiva creativa”, formata da Germania, Francia, Spagna e Italia, protagonista dei primi atti fondativi della nuova Europa?

Roberto Pertile

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