Qualsiasi Stato o federazione di Stati deve provvedere anche alla propria difesa. Succedeva già nei villaggi neolitici: si forgiavano falci ma anche punte di lancia per contrastare i malintenzionati dei villaggi vicini. A Tahleim in Germania è stata scoperta una fossa comune risalente al 5500 a.c. considerata la più antica testimonianza di una battaglia. Che si tratti di spade o di missili ipersonici purtroppo gli esseri umani hanno sempre dovuto riqualificare i loro arsenali. Appare abbastanza ozioso il dibattito intorno al progetto di “riarmare” l’Europa incentrato come è intorno alla mera questione dell’opportunità morale prima ancora che politica di dotarsi di un potenziale militare efficiente e integrato.
Un modo per deviare il dibattito da quello che dovrebbe essere il suo punto focale: e cioè a che cosa dovranno servire le armi? A quale imperativo politico dovrà obbedire il loro utilizzo?
Si vis pacem para bellum e cioè esercita una deterrenza nei confronti di chiunque osi minacciare la tua sicurezza: d’accordo ma “chi” minaccia la mia sicurezza e per quale motivo qualcuno dovrebbe “insidiarmi il calcagno”? Forse perché mi ha a sua volta percepito come una minaccia?
“È l’aratro che traccia il solco ma la spada che lo difende”, ecco un altro famoso slogan difficilmente discutibile; ma la buonanima (il cavaliere col mascellone prognato…) che amava ripeterlo usò la spada per pugnalare alla schiena i francesi non certo per proteggere il frutto del nostro sudore. La spada (o il B52 o il missile intercontinentale) è un semplice strumento ma per quale scopo lo si usa? Questa è la vera questione divisiva come nessun’altra che oggi agita le cancellerie, le forze politiche, il mondo culturale, le Chiese, le opinioni pubbliche europee e ruota intorno a quel frammento della Terza guerra mondiale a pezzi rappresentato dal conflitto russo ucraino.
Tenterò ora di elencare gli argomenti che si affollano intorno alla questione cercando una prima classificazione delle dicotomie: dobbiamo cercare gli indizi che ci rivelino al servizio di quale politica saranno poste le vecchie e le nuove armi in uno scenario segnato da una riedizione sregolata della guerra fredda che divise est e ovest d’Europa.
“La Russia ha scatenato l’offensiva spinta da mire espansionistiche. L’Ucraina è un Paese sovrano e democratico che intende rafforzare il proprio legame con il mondo libero entrando a far parte un giorno sia dell’Unione europea sia dell’alleanza militare atlantica. L’attacco proditorio della Russia non è soltanto il sequel dell’annessione illegale della Crimea ma anche una provocazione nei confronti dell’occidente libero e democratico che non può crogiolarsi nell’inerzia. L’Ucraina è l’avamposto contro il nuovo asse del male, la sua battaglia contro l’autocrazia deve essere sostenuta con ogni mezzo. No, non proprio con ogni mezzo. Gli eserciti dell’occidente globale non parteciperanno direttamente al conflitto né presenteranno una dichiarazione formale di guerra all’aggressore e neppure imporranno una no fly zone sul territorio conteso ma supporteranno gli Ucraini sino alla vittoria finale: la riconquista dei territori contesi e della penisola di Crimea. Entrando nel territorio di uno stato libero e sovrano la Russia ha commesso una palese violazione del diritto internazionale. Esiste un parallelismo fra la Russia e il terzo Reich, fra Putin e Hitler. Gli sforzi diplomatici sono inutili se non dannosi: la conferenza di Monaco non ci insegna qualcosa?”.
Questa è in estrema sintesi l’interpretazione ufficiale della vicenda che viene ripetuta da tre anni, con poche variazioni da giornali, televisioni, intellettuali in carriera, politici di diversi schieramenti, cancellerie, capi di Stato, vertici dell’Unione europea e dell’Alleanza atlantica. Possiamo definire quanti si riconoscono in questa formulazione gli “atlantisti idealisti” a cui si contrappone l’interpretazione dei fatti di chi appartiene al gruppo che potremmo denominare “realisti disincantati”.
Secondo costoro la guerra non è iniziata nel 2022 ma molto tempo prima, almeno nel 2014; l’annessione della Crimea fu sancita da un referendum che colpevolmente la comunità internazionale, forse istigata dai britannici interessati a negare alla ricostituita Federazione russa uno sbocco sul mare, si rifiutò di riconoscere. L’Ucraina sul piano formale è indiscutibilmente uno Stato sovrano ma occorre considerare che nacque frettolosamente sulle rovine dell’Unione sovietica il cui crollo, benché largamente prevedibile, fu repentino e rovinoso. Gli abitanti della Crimea e della regione del Donbass particolarmente legati alla madrepatria (il termine russofoni è fuorviante: tutti gli ucraini parlano perfettamente il russo) non avrebbero voluto separarsene e furono per questo motivo violentemente perseguitati. L’indipendentismo ucraino ha radici lontane: i cosacchi originariamente contadini liberati, affrancati o fuggiti che avevano colonizzato la regione del Don si forgiarono nella lotta contro gli oppressori, polacchi e cattolici, dalle cui file provenivano le classi feudali dominanti (il capolavoro di Gogol Taras Bulba è imperniato su tali vicende); gli zar moscoviti li appoggiarono, in un misto di diffidenza e rispetto a riguardo del loro spirito indipendente e li usarono come custodi della terra di confine (tale il significato del termine Ucraina) dell’Impero in funzione soprattutto antiottomana. Dall’indipendentismo scaturì in epoca romantica un vero sentimento nazionale, come del resto ovunque in Europa, e le potenze straniere fecero leva su questi primi fermenti, confinati allora in una ristretta cerchia di intellettuali, per infastidire l’impero zarista esattamente come oggi si è voluto soffiare sulle braci del nazionalismo ucraino per provocare e mettere in difficoltà una Russia che, con grande scorno di chi voleva dividerne le spoglie, è rinata dalle ceneri, ambisce al riconoscimento del proprio ruolo di potenza regionale e chiede sicurezza ai propri confini. L’Ucraina avrebbe dovuto accettare la posizione di Stato cuscinetto, ponte fra l’ex madrepatria russa e quell’Europa occidentale con la quale la Federazione ha per più di un decennio intrattenuto buoni rapporti di collaborazione. Questa era la linea politica, dicono i realisti, adottata dal presidente eletto Yanucovich che venne costretto all’esilio nel 2014 da violente proteste di piazza inscenate da nazionalisti istigati dai servizi segreti anglosassoni.
Gli atlantisti idealisti considerano al contrario piazza Maidan un simbolo dell’aspirazione del popolo ucraino alle libertà incarnate nei modelli occidentali e le operazioni della Federazione, dall’annessione della Crimea alla conquista dei territori nel Donbass, palesi violazioni del diritto internazionale. I realisti disincantati ritengono che le astrazioni giuridiche non siano sufficienti a classificare una situazione che richiede un’ermeneutica più articolata e multidisciplinare: le condizioni storiche, culturali e politiche hanno condotto a un conflitto che nella sostanza si configura “anche” come una guerra civile. (Segue)
Andrea Griseri
Pubblicato su www.associazione popolari.it