Dopo che per anni nel quadro della Nato è stato richiesto da parte americana che il livello di spesa militare degli stati europei sia portato al 2% del Prodotto interno lordo (PIL) come cifra per una giusta ripartizione delle responsabilità in materia di difesa, nelle ultime settimane Trump ha alzato la soglia al 5%.

Finora la risposta europea, in specie dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è stata abbastanza positiva  rispetto alla cifra originale alla quale un numero crescente di paesi membri della Nato si sta avvicinando (e in alcuni casi andando anche oltre). Ma è su questo piano che l’Europa deve porsi e impostare il rapporto con gli Stati Uniti? Accettando più o meno convintamente la vecchia richiesta e magari preparandosi, temporeggiando, a trattare con il nuovo Presidente americano le ulteriori richieste?

La risposta deve essere decisamente negativa. Anche se è più che giusto che l’Europa prenda coscienza delle sue responsabilità in materia di difesa, il piano sul quale ci si deve porre è un altro.

Prima di discutere di percentuali più o meno arbitrare, la domanda che si devono porre gli stati europei, o meglio l’Unione Europea come soggetto complessivo, è se non sia veramente giunto il momento di impostare in modo nuovo la propria posizione in materia di difesa e tutto il rapporto in questo campo con gli Stati Uniti. Per far questo, negoziare sulle percentuali di spesa che il “fratello maggiore” chiede o esige, più o meno gentilmente, non è certamente la strada giusta.

Il primo passo è chiedersi quali siano il quadro internazionale e le minacce alla pace che i paesi europei dell’Unione devono affrontare o, in altri termini, quali siano le esigenze di difesa che devono essere prese in considerazione da una UE che si concepisca come attore non imperialistic, ma nemmeno inerme nel mondo di oggi. Per compiere questo passo, e se si vuole uscire da una sudditanza anche psicologica dagli Stati Uniti (pur riconoscendo l’importanza di mantenere un forte rapporto di collaborazione con questo paese), è imprescindibile che l’elaborazione di una politica estera comune faccia passi avanti concreti e riconosca che le politiche individuali degli stati sono del tutto insufficienti rispetto ai problemi odierni.

Il tema certamente rilevante della spesa militare può essere affrontato seriamente e responsabilmente solo in questa prospettiva. E solo così può essere portato di fronte all’opinione pubblica per averne la legittimazione. A meno che non si voglia continuare, da un lato, a dipendere da scelte sempre più erratiche della politica statunitense riservandoci al più un “diritto di mugugno” nei confronti del “fratello maggiore”.

Maurizio Cotta

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