letto con interesse e coinvolgimento l’intervento di Mons. Gastone Simoni su POLITICA INSIEME del 2 maggio scorso ( CLICCA QUI ). Ho rivolto a me le sue domande.

Il Vangelo di quel giorno era Gv 14,6-14: nel primo versetto Gesù dice a Tommaso “Io sono la via, la verità e la vita”.

Oggi che scrivo non riesco a non commuovermi ancora ricordando i capp. 5 e 6 della “Lettera a Diogneto” che la Chiesa proponeva nell’Ufficio delle Letture del 5 maggio u.s. In essa, fra altre splendide affermazioni, si trova “… La loro dottrina [dei cristiani] non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano … si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile … Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera … Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. Sono poveri, ma arricchiscono molti. Mancano di ogni cosa, ma trovano tutto in sovrabbondanza. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono colpiti nella fama e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati e benedicono, sono trattati ignominiosamente e ricambiano con l’onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; e quando sono puniti si rallegrano, quasi si desse loro la vita. I giudei fanno loro guerra, come a gente straniera, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia. … il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male. Sebbene ne sia odiata, l’anima ama la carne e le sue membra, così anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo. L’anima immortale abita in una tenda mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l’incorruttibilità celeste. L’anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare.”

Chi legge conservi queste premesse: ne comprenderà il motivo fra poco.

Il giorno stesso della pubblicazione dell’intervento di Mons. Simoni ( CLICCA QUI )ho letto tutto d’un fiato il piccolo ma denso saggio di Gianrico Carofiglio “Della gentilezza e del coraggio – Breviario di politica e altre cose” (Feltrinelli, 2020). Uno dei pochi suoi libri che non avevo ancora letto.

L’Autore non ha bisogno di grandi presentazioni tale è la fama raggiunta come scrittore. Sposato, padre di due figli, può essere considerato un’icona della attuale Sinistra italiana. Nativo di Bari, laureato in giurisprudenza, ha lavorato come magistrato specializzato in indagini sulla criminalità organizzata. Nel 2007 è stato nominato consulente della commissione parlamentare antimafia; dal 2008 al 2013 è stato senatore del Partito Democratico.

Uomo di elevata intelligenza e di vivace curiosità intellettuale, poliedrico, possiede una capacità logica e dialettica di grande spessore unita ad un’esperienza forense di notevole levatura. È ipotizzabile che egli abbia un «narcisismo sano, cioè una sobria autostima». Chi avesse l’ardire di misurarsi con lui potrebbe facilmente avvertire il divario fra le proprie capacità e le sue, un po’ come Davide con Golia. Questa è comunque la mia sensazione, adesso che scrivo – su invito di Domenico Galbiati – una “recensione” del suo breviario dopo che ho avuto l’ingenuità di suggergliene, con qualche riserva, la lettura.

Afferma l’Autore: «Questo libro intende dare suggerimenti per la pratica della politica e del potere. Suggerimenti relativi non tanto al merito delle scelte quanto al metodo, al modo, al come fare. E al cosa non fare. Questo breviario è una raccolta di istruzioni per l’uso della politica e del potere, rivolta a quelli che il potere ce l’hanno – politici, burocrati, magistrati – ma anche a quelli che non ce l’hanno, cioè i cittadini».

Ben consapevole di quanto “liofilizzare” il trattato possa svilirne la prosa e la ricchezza, provo a mescolarne il testo (spesso trascritto tout court, anche senza virgolette) e a riordinarne le indicazioni dividendole in: cose di cui tener conto, cosa non fare, cosa fare.

L’Autore sostiene (o ricorda, a chi ne è già a conoscenza) che:

– , come insegnano diverse arti marziali orientali, il segreto del combattimento è nella non-resistenza. Chi è cedevole supera le prove; chi è duro, rigido, prima o poi viene sconfitto e spezzato. Chiama gentilezza tale capacità di piegarsi, di essere flessibile, duttile, adattabile e la definisce una sofisticata virtù marziale. È il contrario del famoso frangar, non flectar: è un nobile “mi piego pur di non spezzarmi”. È una tecnica, ma anche un’ideologia per la pratica e la gestione del conflitto che è parte strutturale dell’essere e parte inevitabile e proficua della complessità e della convivenza;

– la pratica della gentilezza non significa sottrarsi al conflitto. Al contrario, significa accettarlo, ricondurlo a regole, renderlo un mezzo di possibile progresso e non un evento di distruzione;

– è fondamentale comprendere che il mondo funziona attraverso il conflitto. La tecnica che dobbiamo imparare consiste nel trasformare il conflitto in energia positiva quando è possibile; evitarlo quando è impossibile; renderlo più breve e meno dannoso se inevitabile e ingovernabile;

– la stragrande maggioranza delle persone non è capace di ascoltare, anzi non ne ha il coraggio. Ascoltare davvero è molto difficile: richiede di uscire dalla trappola tesa dal proprio sé per il quale è più facile e rassicurante procedere in base a schemi prefabbricati piuttosto che ascoltare davvero e agire di conseguenza;

– occorre distinguere fra comunicatori e manipolatori. Un buon comunicatore esprime il proprio punto di vista in buona fede e lo racconta correttamente. In politica egli usa le parole per esprimere significati. Invece, in quello che dice un manipolatore non vi è contenuto ma solo la sua apparenza. Le parole sono svuotate dei loro significati e vi è invece un dilagare, più o meno visibile dell’ego e del narcisismo. Egli usa le parole solo per influenzare indebitamente i suoi interlocutori e indurli a fare quello che desidera. La politica manipolatoria funziona applicando una serie di etichette, di schemi, di classificazioni banali e preconcette: esse servono a evocare la parte peggiore dei destinatari del messaggio;

– esiste la dinamica scoperta nel 1999 da Dunning e Kruger, della Cornell University: più si è incompetenti più si è convinti di non esserlo. L’incompetenza priva della capacità di rendersene conto: manca la meta-cognizione;

– è frequente la perdita della pazienza cognitiva (Maryanne Wolf, neuroscienziata dell’UCLA) cioè la tendenza a formulare semplificazioni precipitose come risposta all’ansia indotta dalla complessità che inquieta. Stante la disponibilità di un’enorme mole di dati su ogni argomento e su ogni questione ci si convince di poter sapere tutto senza studio, senza impegno, senza la fatica necessaria per imparare davvero. Ci si illude di poter interloquire su tutto sebbene ci si sia limitati alla superficie delle questioni, senza averle fatte diventare vero sapere critico. E, peggio, si sviluppa il pericoloso rifiuto, quasi il disprezzo, per le vere competenze e per i veri saperi;

– non esiste una competenza universale. Caratteristica della competenza è la percezione dei suoi limiti. Quando l’esperto finisce fuori dalla sua zona di competenza lo ammette. È capace di dire: “non lo so”;

– esiste la “retrotopia” (Zygmunt Bauman), cioè la frequente tendenza a collocare nel passato la fantasia di una società e di un mondo migliori. Il cambiamento non viene più immaginato come un viaggio verso l’avvenire ma come un passo all’indietro, verso un tempo noto, rassicurante e insieme mitico. Nell’attuale temperie, il futuro appare per molti privo di prospettive: le fasce sociali più danneggiate si ribellano e avvertono in maniera confusa, ma corretta, che il progresso non le riguarda, non le include. Questa indistinta percezione diventa la lente deformante e pervasiva con cui viene interpretata tutta la realtà;

– è bene comprendere che il populismo affonda le sue radici e trova il suo consenso non solo nell’ignoranza e nella rozzezza ma anche e soprattutto in un senso di profonda delusione per una promessa di uguaglianza non mantenuta. Le parti della società che avvertono dolorosamente la rottura di questa promessa sono le destinatarie naturali, il terreno di cultura, della propaganda dell’odio e del rancore. Si nutrono della sua violenza, e al tempo stesso la alimentano;

– occorre ricordare il convincimento di Gustave Le Bon: le folle sono sedotte dagli oratori minacciosi che abusano di dichiarazioni violente, ripetute ossessivamente, senza mai tentare di dimostrare alcunché con il ragionamento. Le lingue della demagogia, in ogni epoca e a tutte le latitudini, hanno alcune caratteristiche comuni: sintassi frammentaria e sconnessa, vocabolario minimo, ripetizione continua delle stesse parole e delle stesse espressioni. Sono lingue da imbonitori;

– spesso vi è un uso improprio delle parole. Ad esempio, popolo. «Stando alla definizione dei vocabolari, il popolo sarebbe il complesso degli individui dello stesso paese. Una universalità, si direbbe in linguaggio giuridico. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione (art. 1, co. 2). Questo significa che il voto popolare a suffragio universale è il principio di legittimazione delle istituzioni democratiche, nel quadro delle norme che lo regolano. Quindi, il popolo quale entità unitaria esiste solo come indicazione di una universalità che è la base legittimante della democrazia. Non esiste il popolo come entità omogenea e, soprattutto, non esiste una categoria come la “volontà popolare” che si possa considerare in modo unitario. Nel migliore dei casi (e peraltro con una evidente semplificazione) si può parlare della volontà di una maggioranza di cittadini che abbiano esercitato il diritto di voto. Un ipotetico partito, legittimo vincitore delle elezioni, avrebbe naturalmente il diritto-dovere di provare a governare, da solo o in coalizione a seconda del sistema elettorale. I suoi dirigenti non avrebbero invece titolo a dire cose del tipo “siamo stati votati dal popolo”, “esprimiamo la volontà del popolo” o altre analoghe sciocchezze.»

– la democrazia e la pacifica convivenza internazionale si fondano soprattutto sulla controllabilità delle asserzioni di chi esercita il potere nelle sue diverse forme. Chi fa un’affermazione deve essere disponibile a dimostrare che essa è vera ed è tenuto ad usare la lingua conformemente ai significati. Si tratta della questione dell’onere della prova. Sin dai tempi del diritto romano il gravame spetta a chi afferma, non a chi nega (probatio ei incumbit qui dicit, non qui negat). In democrazia si possono prendere decisioni, si può dare corso ad azioni solo dopo che si sia dimostrato che quelle si basano su elementi di fatto e non su mere congetture o su affermazioni indimostrate;

– la mancanza di senso dell’umorismo è un sintomo, ma anche una causa di stupidità: si accompagna a certezze tanto radicali quanto infondate e spesso grottesche, su se stessi, gli altri, il mondo;

– la cupezza, la seriosità (che è cosa ben diversa dalla serietà), l’incapacità di sorridere, ridere, sdrammatizzare sono alcuni pezzi del mosaico caratteriale tipico di molti cosiddetti “professionisti della politica”. Essi prendono terribilmente sul serio se stessi e quello che fanno, mettendo a nudo il narcisismo della loro personalità;

– il narcisista in politica ha una priorità: “soddisfare le proprie urgenze psicologiche immediate è l’unica cosa che gli interessi, perciò vive esclusivamente nel presente … Non è più capace di immaginare nemmeno il futuro. Il presentismo condiziona profondamente la sua esistenza personale, rendendola una congerie di istanti isolati incapaci di allinearsi l’uno all’altro in un itinerario coerente e dotato di senso” (Giovanni Orsina).  Il narcisismo implica la ricerca di continue gratificazioni esterne, mancanza di empatia, svalutazione del prossimo come condizione del proprio senso di sicurezza, convinzione di aver diritto a un trattamento speciale rispetto agli altri (entitlement);

– al narcisismo si associa spesso il vittimismo, una delle tante declinazioni del rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità, dell’inclinazione a scaricare e proiettare su capri espiatori i propri fallimenti e le proprie inadeguatezze. “La colpa è sempre degli altri!” recita il rituale del self-serving bias;

– esiste una valutazione sulla consistenza dei pericoli che ha poco a che fare con i pericoli oggettivi (incongruenza fra paure e pericoli). Spesso le paure sono governate dalla frequenza, dal modo in cui i media parlano di certi argomenti mentre i pericoli dipendono dalle frequenze, in molti casi sconosciute, con cui si verificano i fatti dannosi. Si tende a stimare la probabilità di un evento in base all’impatto emotivo di una percezione o di un ricordo piuttosto che sull’effettiva probabilità (spesso ignorata) dell’evento temuto (“euristica della disponibilità”);

– la paura di per sé non è necessariamente un’entità dannosa, da evitare: quando è ben orientata, cioè quando si dirige verso pericoli reali e non immaginari o manipolati, può essere un potente strumento per affrontare il rischio e la complessità. Riprendendo gli studi di Hans Jonas, il Barese è convinto che la paura possa trasformarsi in uno strumento di conoscenza e di risoluzione razionale dei problemi. Inoltre, essa è uno dei modi in cui si manifesta il principio di responsabilità, cosa che le conferisce anche una connotazione etica;

– il coraggio può essere definito come il buon uso della paura, cioè la prassi che deriva dalla elaborazione della paura e dalla sua trasformazione in capacità di agire. Il coraggio (non la temerarietà, la spericolatezza, l’audacia sregolata) è il contrario di indifferenza, di inazione, di passività, di rassegnazione. Il coraggio è virtù da cittadini consapevoli che sanno accettare l’incertezza e la complessità.

Affermato quanto sopra, Carofiglio lascia intendere che stigmatizza (e consiglia di evitare) i seguenti comportamenti.

– L’autoreferenzialità, comportamento scorretto di non pochi specialisti nei vari campi. Il pubblico li avverte come una élite culturale, tecnocrati appartenenti a un circolo chiuso, soggetti arroganti che fanno uso di linguaggi deliberatamente oscuri, indisponibili a mettersi in discussione e ad accettare interrogazioni critiche. Ciò non favorisce il senso di fiducia in un sapere condiviso o comunque condivisibile. Questi aspetti fanno il gioco dei populisti che nella polemica contro i professori trovano uno degli strumenti più efficaci ma anche più pericolosi dal punto di vista della qualità della vita democratica. In modo specifico per l’economia, le opinioni degli esperti in questo campo vengono spesso fatte passare come risposte tecnocratiche, scientifiche, oggettive: in realtà esse non lo sono affatto in quanto sono sempre figlie di precise visioni del mondo.

– Le fallacie, errori nella costruzione di un discorso – a volte deliberati, a volte involontari – che invalidano le argomentazioni. Esse impediscono a una discussione di progredire logicamente. Sono spesso utilizzate di proposito con l’intento di ingannare l’interlocutore o il pubblico e sono assai frequenti nel dibattito politico. Eccone un elenco sommario.

  • L’argomento fantoccio (straw man argument) consiste nella scorretta rappresentazione della tesi che si vuole contrastare. Questa viene esagerata, a volte rappresentata in modo caricaturale, e all’avversario vengono attribuite parole che non ha pronunciato o concetti che non ha espresso.
  • Cum hoc ergo propter hoc/post hoc ergo propter hoc consiste nel sostenere che due cose accadute contemporaneamente o in sequenza cronologica siano in relazione causale, quando questa relazione non è in alcun modo provata se non addirittura smentita da un’osservazione appena più attenta.
  • L’argomento del terreno sdrucciolevole o del pendio scivoloso o del piano inclinato consiste nello «spostare la discussione, spesso in modo subdolo da una determinata tesi alle sue conseguenze estreme e soprattutto meramente ipotetiche. È molto usato nelle controversie su temi bioetici».
  • L’argumentum ad hominem consiste nel contrastare le argomentazioni dell’avversario senza entrare nel merito e sferrando invece un attacco personale.
  • Il falso dilemma consiste nel sostenere che di fronte a un dato problema esistano solo due alternative, e nel costringere dunque a scegliere tra una di esse, quando in realtà le possibilità sarebbero di più.
  • L’appello all’autorità consiste nel sostenere la fondatezza di un’affermazione riferendo l’opinione di un esperto senza fornire ulteriori argomenti e in particolare senza indicare la base razionale su cui l’opinione poggerebbe.
  • «L’appello alla natura o al cosiddetto “diritto naturale” (entità inesistente, pura creazione per giustificare punti di vista caratterizzati da intolleranza) molto praticato nelle controversie su temi etici … La cosiddetta legge naturale, in tutte le sue declinazioni, è una creazione umana, che viene camuffata da scoperta o addirittura da rivelazione per darle autorevolezza e inoppugnabilità».
  • L’aneddotica consiste nel citare un aneddoto o un caso isolato della propria esperienza personale per confutare tesi che derivano da dati scientifici, statistici di esperienza consolidata.
  • Scegliere una casuale concentrazione di un certo dato per sostenere arbitrariamente una tesi (cosiddetta fallacia del pistolero). Si appoggia sulla cosiddetta clustering illusion, l’attitudine cognitiva che ci induce a cercare e individuare modelli e principi di ordine anche quando essi non esistono.

– Sfruttare il sentimento primordiale della paura, rinfocolarlo, dirigerlo verso nemici e pericoli inesistenti trasformandolo in rancore prima e in odio poi, sono atti di grave immoralità politica. Addirittura peggiori, perché più devastanti, della corruzione nelle sue diverse declinazioni. È facile capire che i populismi non vogliono liberare le persone dalle loro paure. La loro sopravvivenza dipende esattamente dal contrario: che le persone cioè rimangano sempre più intrappolate da quelle paure, sempre più avviluppate dal risentimento, alla costante ricerca di un capro espiatorio per il loro malessere.

Infine, il Nostro raccomanda a politici e cittadini consapevoli alcuni atteggiamenti di seguito sommariamente riassunti.

– Nel contesto del dialogo di ogni genere, e dunque anche politico, occorre imparare ad ascoltare con mente aperta, non influenzata dai pregiudizi, dai preconcetti, dalle sovrastrutture. Tutti elementi che riducono, quando non aboliscono, la capacità di reagire con efficacia e in modo adeguato all’argomento dell’altro. Una simile modalità di ascolto – che è una modalità sofisticata di interazione – ha a che fare con la capacità di mettere a silenzio il proprio ego: più ci lasciamo dominare dall’ego nelle nostre transazioni interpersonali, e in particolare in quelle che hanno a che fare con la politica e il potere in generale, più incrementiamo e inaspriamo l’inevitabile conflitto invece di disattivarlo. Molti politici di professione motivano le loro scelte, le loro azioni, come ispirate da ragioni ideali, da strategie, da questioni tecniche, ma spesso dietro queste motivazioni si nascondono puri e semplici fatti personali. Ambizioni di carriera e di potere, banale e tossica vanità, e naturalmente ostilità e risentimenti.

– Per non cadere nella trappola dell’inversione probatoria occorre formulare preliminarmente due domande semplici: la prima, quale sia esattamente l’affermazione; la seconda, su quali dati di fatto, prove o anche solo indizi oggettivi, si basi l’affermazione fatta dall’avversario.

– Occorre saper porre buone domande, cioè esercitare l’arte del dubitare, strumento fondamentale del pensiero critico e civile che contrasta tutte le forme e le pratiche di esercizio opaco quando non deliberatamente occulto del potere. La qualità della vita democratica dipende dal numero, dal tenore, dall’efficacia delle domande che interpellano l’esercizio del potere e lo sottopongono a scrutini inattesi. Porre domande, vere domande, è né più nemmeno che un’attività sovversiva contro tutte le forme di autoritarismo, palese o mascherato che sia. Le società e le culture caratterizzate dall’evitare l’incertezza, in cui le persone sentono il bisogno di rigidi codici comportamentali e di pensiero, sono poco capaci di progredire, di sviluppare più libertà e più intelligenza. Le domande non convenzionali e le opinioni devianti non sono gradite, producono ansia, vengono stigmatizzate. Sono buone domande quelle divergenti, cioè quelle che ammettono risposte diverse e non predeterminate: infatti, sono aperte allo sviluppo di nuova conoscenza, di nuove prospettive e soluzioni, di nuove possibili intese; postulano disponibilità a dibattere, anche con durezza, per il controllo delle asserzioni ma non si ripropongono semplicemente la polemica.

– Occorre superare – nel contesto del dibattito civile, politico ma anche dei ragionamenti quotidiani, giudiziari e relativi alle scienze della natura – il razionalismo cartesiano (secondo cui sarebbe razionale solo ciò che si presta una dimostrazione formale, di tipo deduttivo e dall’esito necessario e non discutibile). È da accogliere una nuova forma di retorica che ha per oggetto di studio i mezzi di prova non dimostrativi: la sua procedura è l’argomentazione, il suo obiettivo la minimizzazione del dissenso in tutti i campi in cui essa viene impiegata. Una simile retorica ha le sue regole:

  • non sono consentite espressioni ambigue, deliberatamente oscure, tali da generare confusione e impedire un dibattito regolare;
  • chi avanza una tesi ha l’obbligo di difenderla qualora gli sia richiesto;
  • non si può criticare una tesi che non sia stata realmente avanzata dalla controparte;
  • una tesi può essere difesa solo attraverso argomenti pertinenti;
  • la regola delle premesse implicite vieta di attribuire in modo fraudolento all’interlocutore premesse implicite

La consapevolezza e la padronanza pratica delle regole della conversazione diventano una vera e propria tecnica di autodifesa contro le aggressioni verbali e dialettiche. Esse sono anche una sorta di vademecum per cittadini consapevoli, un metodo pratico per sottoporre a scrutinio le affermazioni del potere sottraendosi alle manipolazioni più o meno occulte.

– È lecito e doveroso smascherare il tentativo di inversione dell’onere della prova, uno degli espedienti più usati dai manipolatori di ogni risma. Chi fa un’affermazione che non si basi su conoscenze acquisite e consolidate, se richiesto, deve provarla. Non può scaricare quest’onere sull’interlocutore chiedendogli di fornire un’evidenza negativa. La semplice impossibilità di confutare un’argomentazione non la rende vera.

– È auspicabile la pratica dell’umorismo principalmente rivolta verso noi stessi: la capacità di cogliere il ridicolo di cui tutti – a momenti o spesso – siamo portatori. È un modo per contrastare la stupidità e il fanatismo. L’umorismo e l’autoironia sono doti epistemologiche che ci permettono una visione meno deformata del mondo e di noi stessi; sono anche virtù morali che ci consentono di uscire dalla gabbia dell’ego, di vedere noi e gli altri in prospettiva, con qualche dose di utile obiettività.

– Non è bene essere terrorizzati dai propri errori: tutti ne commettiamo continuamente. Il problema sta nell’incapacità di individuarli ed ammetterli.

– Occorre avere «uno sguardo strategicamente sfumato sul reale; uno sguardo che non includa un giudizio preventivo, e dunque un’inevitabile, dannosa selezione degli elementi di conoscenza, una loro manipolazione per collocarli in schemi predeterminati … Il rischio di adagiarsi nelle verità assolute (quali che siano) contrasta con la tecnica della discussione capace di uscire dalle anguste prospettive individuali, di cogliere e riconoscere la pluralità dei punti di vista e dunque le verità plurali, aperte a un processo continuo di correzione e arricchimento».

– Occorre acquisire “immaginazione narrativa” (Martha Nussbaum) ovvero la capacità di immaginare la storia di chi è diverso da noi.

– Occorre anche la “capacità negativa” evocata da John Keats: «accettando l’incertezza, il caso, il disordine, l’errore, il dubbio è possibile osservare più in profondità, cogliere le sfumature e i dettagli, porre nuove domande, anche paradossali, e allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza. La capacità negativa è una forma di vero coraggio, di coraggio maturo. Consiste nel porsi di fronte all’esistenza senza rifugiarsi negli schemi delle soluzioni precostituite e rassicuranti. Implica accettare l’idea, fra l’altro che si possano conoscere elementi singoli della realtà o anche, in qualche misura blocchi complessi, ma che le teorie onnicomprensive e assolute (le verità assolute, che discendono dall’incapacità di vivere l’ansia della complessità) siano destinate a crollare dinanzi ai fatti. La complessità del mondo in cui viviamo supera la nostra capacità di comprenderlo in toto. Accettare coraggiosamente questa verità è una delle premesse per un agire politico laico, tollerante ed efficace».

– È bene esercitare la tolleranza che, nel discorso politico di oggi, significa dare il beneficio del dubbio a chi ci sta davanti e a quello che ha da dire. Tollerare significa superare l’idea che chiunque la pensi diversamente da noi non sappia di cosa sta parlando, né abbia diritto di esprimere la propria opinione. Il principio alla base della tolleranza resta lo stesso: l’idea che gli esseri umani abbiano il diritto di vivere come credono e siano liberi di manifestare il proprio pensiero, e che questo sia il fondamento di una società democratica.

Essere tolleranti presuppone la reciprocità. Il contratto implicito dei membri di una società tollerante è di accettare di non essere d’accordo… Quando tolleriamo chi è intollerante priviamo chi è vittima di quell’intolleranza di una parte della propria libertà, e la democrazia in cui viviamo di parte della fiducia necessaria per farla funzionare.

In buona sostanza Carofiglio suggerisce a) la gentilezza come metodo per affrontare e risolvere i conflitti e strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane; b) il coraggio come essenziale virtù civile e veicolo del cambiamento; c) la capacità di porre e di porsi domande – la capacità di dubitare, l’arte del dubitare domandando – come nucleo del pensiero critico e dunque della cittadinanza attiva, indispensabile per contrastare tutte le forme di esercizio opaco del potere.

Per chi volesse saperne di più è disponibile il libro (e l’e-book). Consiglio di leggere il testo con sincera disponibilità di ascolto ma anche con quella attenzione vigile che l’Autore consiglia al cittadino consapevole e responsabile. Essa, per i cattolici, va ulteriormente acuita per discernere quei contenuti assai discutibili se non irricevibili che il Nostro – con grande ingegno, con acuta furbizia, con temprata esperienza – sparge nelle sue opere: il lettore, incantato dalla prosa scorrevole e accattivante nonché dalla fantasia geniale, abbassa il livello di guardia e “beve tutto”. Anche ciò che farebbe meglio a non ingoiare. Mi riferisco ad alcuni passaggi del breviario su cui vorrei fare alcune puntualizzazioni.

Il conflitto

Carofiglio afferma che il conflitto esiste e deve essere affrontato. A tale scopo suggerisce di utilizzare la tecnica mutuata da alcune arti marziali orientali: la gentilezza, così come egli la intende e la descrive. Fornisce esempi, peraltro sempre individuali e non di gruppo, in cui tale approccio avrebbe sortito l’effetto di ridurre la violenza aggressiva e – a volte – avrebbe condotto ad un inatteso rispetto vicendevole contendenti altrimenti destinati a restare distanti e duramente oppostivi. Va detto che il principio cardine delle discipline marziali citate dall’Autore è ritorcere sull’avversario l’energia cinetica del suo attacco: proprio quando quello sferra un pugno, il colpo viene abilmente schivato e l’aggressore – sbilanciato – si ritrova al tappeto. Dalla reiterazione di simili esperienze, assicura Carofiglio, l’aggressore deriverà il convincimento che la forza bruta non gli giova a nulla e accetterà di confrontarsi educatamente, sul piano logico-dialettico.

Senza dubitare della veridicità degli esempi citati, temo – in generale – che una personalità tendenzialmente violenta, difronte all’onta di simili ripetute disfatte, potrebbe piuttosto rimuginare propositi di vendetta, ben più brutali di un pugno: penso alla violenza di branco, all’uso di armi da taglio o da fuoco, ai rituali punitivi di cui le fiction sulla criminalità organizzata ci hanno offerto un resoconto edulcorato. Infatti, l’eleganza della difesa – apparentemente inerme – non ne elimina la potenza simbolica distruttiva: l’avversario è ridicolizzato. Sul tatami come in un confronto in tribunale o in un congresso politico o in talk show televisivo. Certo, se è vero che “L’enfer, c’est les autres” come lascia intendere Sartre nel suo “Huis clos”, allora è bene prepararsi per non farsi schiacciare, per non soccombere. Ma … niente sangue, per favore! Troppo volgare: tutto sia ricondotto a un elegante duello di intelligenza, logica e preparazione culturale.

Ognuno è libero di regolarsi come vuole, ovviamente. I cristiani, anche quelli di INSIEME, non possono però dimenticare una diversa modalità di gestione del conflitto: quella offerta da Gesù durante la sua passione. Il Nazareno, entrato in rotta di collisione con la classe sacerdotale e i romani dominatori del suo popolo, durante la passio ha parlato poco ma con coraggio, ha subito torture e il supplizio della croce, infine è spirato in un modo tale da far dire al centurione che era davanti a lui “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Per lui e in lui i suoi discepoli hanno affrontato persecuzioni, umiliazioni, crudeltà ed ingiustizie certi che Dio era accanto a loro nella sofferenza e che la morte era vinta, per sempre: anche se uccisi, sarebbero risorti per entrare nell’eternità beata riservata dal Padre a chi ha accettato di credere nel Figlio suo.

La Lettera a Diogneto ( sulla Lettera Politica Insieme è intervenuta già alcune volte, ndr,  CLICCA QUI e QUIci regala un affresco meraviglioso di una comunità di testimoni di Gesù capaci – come lui – di amare anche i nemici. Per essi, come per i tanti fedeli autentici di ogni epoca, il TU veniva prima dell’IO perché questa è precisamente la caratteristica dell’Amore vero che si riceve per opera dello Spirito Santo. Niente inchini e niente aikido, dunque, in caso di conflitti: piuttosto, una gara a chi cede per primo in favore dell’altro. L’altro non è l’inferno: l’altro è Cristo!

A chi ritenesse che sto vaneggiando suggerisco di consultare “ CEI, Martirologio Romano, Libreria Editrice Vaticana, Roma , ISBN 9788820979258”.

La legge naturale

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (fra altri, paragrafi 1950-1960; 1776; 396; 2070-71; 37) argomenta l’esistenza della legge naturale iscritta da Dio nel cuore di ogni sua creatura. È altamente probabile che Carofiglio abbia scelto di non credere in Dio e nella Chiesa: senza questo passo preliminare di fede che illumina la mente, molte delle verità rivelate custodite e annunciate dal Magistero gli appaiono invenzioni o mistificazioni. Ai suoi occhi, forse noi siamo – come nel graffito di Alessameno – seguaci di un somaro crocifisso, incapaci (vista la caratura del maestro …) di argomentare e dimostrare la ragionevolezza del loro credere.

Per l’assenza della fede molto è reso oscuro e inaccettabile. Un po’ come discettare di teologia cattolica senza possedere (e aver letto) la Bibbia.

Il piano scivoloso (slippery floor)

È drammatica l’escalation delle leggi contro la famiglia e la vita approvate in Italia. Quando nel 1970 fu approvata quella sul divorzio qualcuno avrà detto, sgomento: “Dove andremo a finire?”. Il trend, la “pendenza” è presto detta: aborto, unioni civili, semplici procedure di sostegno vitale quali idratazione e nutrizione considerate come atti medici, non punibilità di uccisione per inedia di persone in stato vegetativo (caso Englaro) o di aiuto al suicidio (casi Welby e Cappato); molteplici sentenze (magistratura “creativa”) favorevoli all’affido di minori a coppie omogenitoriali e al riconoscimento di fatto della fecondazione eterologa, con uno smantellamento progressivo di quanto disposto dalla legge 40/2004. In questi giorni sembra improcrastinabile la discussione in Senato della legge di repressione dell’omofobia (del tutto ideologica, inutile e potenzialmente liberticida: posso ancora scriverlo).

Monica Cirinnà, in un video presto espunto da parte della RAI dei passi più compromettenti (ma poi recuperato nella sua versione integrale CLICCA QUI ), pochi anni fa non ha fatto mistero delle tappe che il PD intende percorrere per arrivare al riconoscimento pieno e paritetico del matrimonio omosessuale. La parlamentare è iscritta al Circolo che prende il nome da Mario Mieli  apertamente favorevole alla pedofilia ; è favorevole alla pratica dell’utero in affitto (“purché regolamentata”). Non ci sarà da meravigliarsi se il giorno stesso in cui verrà approvato il ddl Zan essa – e il PD in blocco, assieme a parlamentari del M5S e altri raggruppamenti minori – concentrerà i suoi sforzi per l’approvazione della liceità della maternità surrogata (e poi della pedofilia?). Rimangono ancora l’incesto e la bestialità come ultimi tabù da abbattere ma presto vi si arriverà.

L’attacco duro e determinato verso i valori culturali giudeo-cristiani viene da lontano. Dopo le stragi dei primi secoli, nuove modalità di opposizione si sono lentamente affermate. La Massoneria, pur molto attiva ( CLICCA QUI ), non è l’unica forza persecutrice: certo è che i cristiani sono duramente oppressi e barbaramente uccisi nel mondo (Rapporto della Ong Open Doors sulle persecuzioni dei cristiani nel 2020, CLICCA QUI ), soprattutto da parte di musulmani. Mentre questi ultimi procedono senza indugi a vie di fatto brutali, in Europa e nel Nord America ci si comporta con maggiore accortezza e più furbizia. Per rendere accettabile l’inaccettabile le masse vengono manipolate secondo i gradini della finestra di Overton ( CLICCA QUI )

Negare il pendio scivoloso in questioni eticamente sensibili nell’Italia odierna e accusare di fallacia argomentativa chi lo denuncia mi richiama alla mente ciò che avviene nel contesto del bullismo. Gli aguzzini perseguitano, umiliano, picchiano la vittima designata; quando questa, esasperata, tenta di reagire allora – a colmare la misura della crudeltà – la persona viene beffardamente rimproverata di avere reazioni esagerate e immotivate, di non saper apprezzare lo scherzo, di essere troppo suscettibile, forse un po’ paranoica. A seguire, una seconda e più abbondante dose di legnate.

Il Nostro – fra l’altro esperto di karate e cintura nera, sesto dan – i bulli li ha certamente contrastati e puniti nel corso della sua attività di magistrato e non li ha esaltati nella sua abbondante produzione letteraria. Spiace, ma non sorprende più di tanto vista la sua collocazione politica e ideologica, che abbia una opinione siffatta circa lo slippery flour in bioetica.

Non credere, diffidare delle verità assolute

Non tutto è dimostrabile logicamente – quasi matematicamente – al di là di ogni ragionevole dubbio. Anche la matematica, così come la fisica quantistica e in generale ogni forma di scienza – penso, ad esempio, all’astrofisica, alla cosmologia – pervengono in ogni frangente storico alla migliore ipotesi possibile, destinata ad essere smentita in un lasso di tempo più o meno breve allorché nuove impreviste conoscenze conducano a migliori ipotesi interpretative dei fenomeni in studio.

L’incapacità a fornire spiegazioni esaustive e definitive di ciò che la scienza studia non esclude necessariamente, in via di principio, che esse non esistano né possano esistere; attesta solamente che non si sono raggiunte. Nemmeno autorizza a credere che tutte le ipotesi siano contemporaneamente vere; è lecito, semmai, riconoscere che alcune di esse colgono solo frammenti della verità del fenomeno in studio senza riuscire a spiegarlo in tutte le sue manifestazioni.

Ben più difficile è affrontare il discorso sulla Verità quando il piano non è quello scientifico bensì quello storico, filosofico, metafisico e soprattutto religioso. Il Barese è perentorio: meglio accogliere le “verità plurali”. Cosa che – per il mio sentire – è un ossimoro: provando ad intuire cosa egli voglia intendere avrei preferito “opinioni plurali” (un modo di ridefinire il vecchio tot capita, tot sententiae).

Poiché INSIEME è un partito laico ma anche di ispirazione cattolica, ripensando allo scritto di Mons. Simoni, mi permetto di affermare l’importanza che i credenti che lo popolano siano coesi nell’affermare che la Verità esiste e risiede nella persona di Gesù Cristo. Noi abbiamo fede in Lui, cioè ci fidiamo di Lui; crediamo a quello che ha detto e svelato circa la sua natura, quella del Padre e dello Spirito Santo; crediamo alle sue opere e – sopra ogni cosa – alla sua risurrezione dopo la morte di croce. La nostra fede, cioè il nostro “appoggiarci a Lui”, è atto del cuore e della mente: nei secoli, schiere di studiosi di ogni disciplina hanno difeso la ragionevolezza del nostro credere dalle irrisioni beffarde dei non credenti (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, paragrafi: 35ss; 50; 156;159; 286;1704ss; 1731; 1778. Cfr. Lettera Enciclica Fides et Ratio di San Giovanni Paolo II). Tuttavia, nell’attuale temperie come nei primi secoli della Chiesa, le argomentazioni di accademia non interessano e non convincono quasi più nessuno: Dio, che ha a cuore la salvezza di tutti, torna nuovamente a chiedere ai suoi di raggiungere i lontani attraverso il martirio e una nuova ondata di evangelizzazione. Questa non può dare frutti se non passa per lo snodo irrinunciabile della sofferenza, se necessario fino all’effusione del sangue. Il numero dei perseguitati e degli uccisi fra le fila dei cristiani non è mai stato così alto nella storia come negli ultimi anni: le loro disumane tribolazioni, il loro sangue sparso perdonando per amore a Cristo convertiranno i loro aguzzini e comunque li salveranno.

Chi sarà investito del compito politico di rappresentare le idee del Manifesto di INSIEME, di sostenerle in dibattiti e confronti (speriamo, prima o poi, anche parlamentari), di proporle ai cittadini elettori deve prepararsi a questa missione nobilissima e insieme tremenda. Ma, appunto, “ … Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare”.

Roberto Leonardi

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